La fiaba, le immagini, il gioco, la struttura corporea e psichica del bambino

Maria Teresa Torri, pediatra, medico scolastico

C’era una volta un salmone che viveva nella sua tana sulle montagne, nel fiume dove erano state deposte le uova, e dove lui era venuto al mondo. Una tana calda e accogliente, alla base delle sorgenti del ghiacciaio, dove tutti i giorni andava alla scuola della vita e doveva decidersi a prendere l’iniziativa di raggiungere il mare insieme ai suoi compagni. Il nostro salmone, però, aveva paura di questa scelta e si era messo delle foglie sugli occhi con la scusa che la luce era troppo abbagliante per lui. Quando tutti i suoi compagni furono partiti, dovette necessariamente decidersi e lo fece saltando all’indietro, per poter continuare a guardare la tana. Saltando così fino al mare avrebbe trovato sulle rive, sulla sabbia, sulle onde del mare la storia che ognuno dei suoi amici salmoni, e lui stesso, avrebbero scritto. Grazie all’esperienza di questo percorso lungo i fiumi, il salmone impara a salvarsi dalla rocce, dai pescatori, da tutte le difficoltà che si possono incontrare fino ad arrivare al mare e lì comincia ad appassionarsi alla nuova vita del mare, affrontando anche lì la scuola del vivere. Capisce, inoltre, qual è il significato di iscrivere la propria vita sulla sabbia e sulle onde. Poi arriva il padre, il saggio del gruppo, che gli dice che ormai è giunta l’ora di ritornare indietro a deporre le uova. Quindi ricomincia il percorso all’indietro per tornare nella tana dove ha soggiornato all’inizio della vita.

Ho pensato di iniziare questo intervento riassumendo una storia riportata da una famosa psicoterapeuta, la dottoressa Marcoli, che scrive libri sui bambini raccontando fiabe, fiabe scritte non soltanto per i piccoli, ma anche per i genitori, che così possono approcciare il bambino stesso in modo poetico. La storia del salmone è stata raccontata dalla dottoressa nel corso di un convegno sulle problematiche degli adolescenti, ma credo che si adatti bene ad ogni fase della vita. La tana può essere identificata come il primo momento, la cavità uterina, dove un bebé rimane al caldo dei 38° della cavità addominale.

Sono pediatra, quindi il punto di vista da cui parto mi spinge a pensare che lo scopo di questa fiaba sia di tradurre in immagini il percorso dell’individuo dal punto di vista fisico: come si possa approcciare un bambino solo conoscendo a che punto della sua vita si trova nelle varie fasi del suo percorso. Le rassicurazioni dell’adulto per abbandonare la tana e procedere sono quelle, in fondo, che spingono il bambino a lasciare la cavità uterina. Finora si è molto discusso sull’inizio del parto: il momento del travaglio è dettato dalla mamma o dal bambino? Oggi si è propensi a pensare che sia il bambino, anche se l’idea è senza dubbio originale. Quando un bambino spinge con i piedini sulla pancia tutti dicono: che bello, spinge! In realtà, lui viene rassicurato da questa compattezza delle pareti uterine i cui limiti sente con precisione, ma decide, nonostante sia tenuto in una posizione particolare, di dare inizio al suo percorso di vita abbandonando la sua tana calda a 38°, molto ristretta e molto rassicurante. Tutte le paure del salmone sono, naturalmente, riprese nel parto, quando il bambino scende a conchiglia e si porta verso l’esterno, guidato dagli adulti.

Questo momento, sempre così travagliato, può spingerci a considerare il neonato come un grande incosciente; infatti non c’è una forma peggiore di malattia. Se si osserva questo momento da un punto di vista prettamente medico e anatomico, è necessario che consideriamo alcuni aspetti: il bambino ha la testa bucata e tutta di cartilagine, nessun organo per vedere, non ci sono ancora né un cono né un bastoncello nella retina, il cervello è completamente liscio e senza circonvoluzioni, il cuore non ha mai pulsato in quel modo, il polmone non ha mai respirato aria, l’intestino non ha mai visto cibo.

Quindi, sia pure con una bruttissima immagine – ma non ne trovo altre più efficaci – è praticamente come un tubo idraulico, completamente liscio, su cui veramente si possono scrivere le storie dei bambini, così come si possono scrivere nelle circonvoluzioni cerebrali.

Ciò che sorprende di più, però, è la quantificazione dei numeri del bambino: ha una testa così grande che è circa un terzo di tutto il corpo, gli arti e il tronco sono il resto. Invece, nell’adulto, la testa ha la proporzione di circa un ottavo del corpo. E’ dunque questa la parte che si svilupperà in sette anni, ma per essere completamente matura ce ne metterà ventuno, la famosa maturità di un tempo.

Ecco perché prima si iniziava la scuola elementare tra i sei anni e mezzo e i sette, e noi della scuola steineriana continuiamo su questa linea. Pur avendosi al giorno d’oggi un’anticipazione della maturità, soltanto a sette anni il bambino raggiunge quella che è un minimo di maturità della corporeità fisica, ecco perché sconvolge l’idea di anticiparne l’ingresso a scuola.

Una cosa molto evidente è che gli arti fanno il massimo del percorso e si raggiunge anche la divisione fra torace e addome, cosa che prima non si aveva. Un neonato è tutto tondo di testa, tutto tondo di corpo e gli arti possono addirittura toccarsi tra loro, i piedini, a loro volta, possono toccarsi tra loro e solo dopo potrà raggiungere la verticalità. A tre anni potrà raggiungere il controllo degli sfinteri e finalmente, a sette, avrà conquistato la proporzione di un adulto.

Il bambino compie questo percorso grazie a un processo di imitazione: lo sviluppo del pensare, della volontà, degli arti, del movimento, che alla nascita è un movimento assolutamente afinalistico e involontario, come un grande Parkinson che si trova nell’adulto. Il bambino ha un movimento così involontario che è proprio come un Parkinson, quindi è un grandissimo malato, che deve essere risanato in questo primo settennio.

L’attenzione allo sviluppo fisico del bambino ci dà un’idea di che cosa dobbiamo curare in modo particolare: tutte le stimolazioni, tutti gli apprendimenti devono essere pazienti e accettare il tempo di percorso del bambino, bisogna consentirgli di sviluppare tranquillamente questo lavoro, di eseguirlo attivamente. In realtà, oggi, l’atteggiamento dei genitori e della società è quello di proporgli continue attività mentre, al contrario, il bambino andrebbe disturbato il meno possibile perché possiede sicuramente un livello di saggezza che noi adulti non possediamo. Ecco un esempio banale che viene dalla pratica quotidiana della medicina: se un bambino subisce una frattura, l’osso si ricostruisce in modo mirabile, nell’adulto la frattura rimarrà per sempre evidente su una lastra.

Noi adulti non siamo più in grado di ricostruire alcun organo. La natura ha previsto, per esempio, un tempo di accompagnamento perché l’intestino possa maturare la propria capacità. Pensate che il fegato fa sangue durante la gravidanza, deve digerire e accogliere il cibo per elaborarlo e utilizzarlo per ingrandirsi, per immagazzinarlo nel corpo. In realtà, per questo processo, occorre un grosso lavoro. Ad esempio prendiamo l’intestino: da tubo idraulico alla nascita, a ventun anni produrrà tutti i villi che sono stati formati e plasmati negli anni a contatto con il mondo esterno. Da qui l’importanza di un atteggiamento cauto nell’uso dei colori nelle stanze dei bambini e nel loro abbigliamento, di come debbano essere utilizzati i materiali che lo rispettino, di come gli oggetti e i giocattoli che lo circondano contengano in sé la possibilità di una sperimentazione ampia.

Non solo la plastica, quindi, ma cose prese dal mondo della natura: rami, pigne, foglie. Oggetti che lui possa lentamente contattare, tastare, sperimentare. Grande importanza ha per il bambino l’esperienza del massaggio, del tatto, per potersi poi connettere con il mondo degli adulti.

Purtroppo la pediatria non sia occupa, paradossalmente, del bambino in questo senso. I pediatri si preoccupano che lo sviluppo avvenga nei tempi, nei modi, nelle sequenze adeguate perché da grande sia un adulto sano. E’ attenta a che il suo intestino non sia rovinato da una massa di cibi somministrati troppo precocemente, troppo attivamente, ma non che ci sia una necessaria tranquillità che accompagni il suo sviluppo e la sua maturità, non soltanto in famiglia, ma anche nell’ambiente scolastico. L’intellettualizzazione precoce o esagerata non gli consentono di sviluppare quella parte importante che è data dall’esperienza che il bambino può fare attraverso gli atti volitivi, attraverso le braccia e le gambe.

Il rapporto che il bambino ha con il mondo è di tipo imitativo: imita l’adulto, la passione che l’adulto manifesta nei confronti del mondo. Per questo motivo lavorare con il bambino è molto importante affinché possa recepire questa passione dell’adulto.

Un piccolo accenno alla televisione, una delle calamità più grandi per un bambino. Questo tipo di passività, lo stare per ore davanti a un televisore, non è solo lesiva del tempo che potrebbe essere dedicato alla lettura o al racconto, quindi all’apprendimento. Anche la motilità viene assolutamente paralizzata, gli occhi vengono immobilizzati, le orecchie non riescono più a percepire altro e, quindi, si registra un danno nell’ambito fisico. Siccome tutto il processo di accompagnamento del bambino è un processo di guarigione da questo “stato di malattia” per condurlo ad essere un adulto sano, è assolutamente necessario lasciarlo il più possibile libero di fare tutte le esperienze di cui ha bisogno.

Un altro tema fondamentale sui cui vale la pena di spendere qualche riflessione è il ritmo. La vita ritmica del bambino è sostanziale. Lo si vede già nel ritmo, ad esempio, che lui deve apprendere, una volta uscito dal non-ritmo della cavità uterina: alimentazione 24 ore su 24, depurazione 24 ore su 24. Appena nasce deve cominciare ad avere un ritmo: mangiare, digerire, dormire, vegliare. Il risanamento di questi ritmi, il loro apprendimento o accompagnamento condizioneranno lo stato di salute futura.