L’identità waldorf

di Mario Conti

Nell’affrontare questo tema, vorrei procedere caratterizzando le particolarità di questa scuola in tre momenti successivi.

Un primo livello in cui sicuramente la scuola Waldorf è coinvolta è il rapporto col bambino: ovviamente la scuola Waldorf è scuola e deve occuparsi dell’educazione del bambino. Ma, rispetto ad altri sistemi educativi, vi è coinvolta in un modo particolarmente forte. Qui troviamo subito una caratteristica peculiare di questa scuola in confronto ad altre, che è quella di una forte personalizzazione nei rapporti col bambino, della esigenza di tener conto dei bisogni evolutivi del bambino alle sue varie età e a livello di ogni singolo bambino.

Quindi non si tratta di confrontare il bambino con certi standard d’apprendimento prefissati – questo è un elemento del tutto secondario nella scuola Waldorf – al contrario occorre promuovere lo sviluppo armonico del bambino, tenendo conto delle forze in cui vive nelle varie età. Probabilmente sto dicendo delle cose che sono ben conosciute, sicuramente dalla maggior parte di voi che operate nelle scuole, tuttavia è bene ripetere sempre di nuovo che il bambino, per esempio, nel primo settennio ha delle forze molto diverse da quelle del secondo e del terzo. Noi dobbiamo guardare la realtà, conoscere il bambino e capire di che cosa ha bisogno per svilupparsi. Questo è un compito non piccolo, non indifferente, per il fatto che noi come adulti abbiamo perso, in questa epoca di cultura, la capacità di cogliere veramente quelle che sono le forze attive del bambino. Il fondatore di questa scuola sottolinea spesso quest’aspetto, dicendo che dobbiamo “passare dal compitare al leggere”.

Questa è una frase che voi ben conoscete, va comunque precisato che l’atteggiamento scientifico della scienza dell’educazione molto spesso è quello di “compitare”, nel senso di prendere atto di manifestazioni del bambino, per esempio, con metodiche di psicologia sperimentale. Si fanno esperimenti e si vede cosa succede, se un certo metodo ha risultati positivi sull’apprendimento migliori di un altro, eccetera: questo è appunto un compitare, mentre l’insegnante Waldorf deve passare dal compitare al “leggere” nel bambino. Un’altra espressione che usa Steiner è questa: “Il bambino, per l’insegnante, deve diventare del tutto trasparente”. Ciò va naturalmente visto in un certo contesto, che tuttavia mi sembra abbastanza chiaro: non si tratta di compiere un’invasione indebita nel campo dell’intimità del bambino, ma di imparare a leggere la personalità di questo bambino per poter aiutare il suo sviluppo verso l’educazione. A maggiore chiarimento ricordo che il ruolo centrale in tutta la scuola Waldorf è non tanto l’istruzione ma appunto l’educazione, nel senso di ‘portare fuori’, di e-ducere, secondo l’etimologia latina della parola. Quindi non dobbiamo pensare all’educazione come un indottrinamento, come ad un addestramento del ragazzo, ma invece fare in modo che tutti i doni che il bambino porta dal mondo spirituale (qui appunto mi riferisco alla dottrina della reincarnazione) – che tutti i bambini portano sulla Terra – e mettiamoci pure i bambini “difficili”- questi doni abbiano la possibilità di fiorire e arrivare a maturità e portare frutto. Il che costituisce un elemento di rottura rispetto a certe forme di strutture sociali invecchiate, una forza di rinnovamento e vitalizzazione molto importante anche dal punto di vista sociale, affinché possa realizzarsi una società migliore, più giusta e più umana.

Quindi l’impostazione che Steiner dà alla sua scuola è di una radicalità estrema: non si tratta di adattare il bambino ad un sistema sociale, ma, viceversa, di sviluppare tutti i doni nascosti che stanno nel bambino e far in modo che questi possano giungere a fiorire. Allora da questa fioritura, da queste personalità che riescono ad attivare veramente sulla Terra le loro capacità, potrà nascere una nuova società. Questa è una fiducia, un principio conduttore, che è essenziale nella scuola Waldorf.

La pedagogia steineriana porta delle connotazioni che sono anche nazionali, in quanto è nata in un certo Paese, in una certa cultura. Steiner stesso torna spesso su questo tema e sottolinea che non poteva che essere così: una nuova pedagogia realistica non poteva nascere che in un determinato popolo. Con questo però la pedagogia di Steiner non rimane collegata ad un popolo, ad una nazione, ma ha come oggetto l’elemento universale umano che è presente in tutti gli uomini di tutti i popoli, qualunque sia la razza, ceto, estrazione, colore della pelle e così via. Questa è un’impronta tipica portata da Rudolf Steiner, per cui già nelle prime scuole tedesche e svizzere c’erano ebrei, ariani e così via, e questo è uno dei motivi per cui nel ’38 la maggior parte delle scuole fu chiusa in Germania, perché appunto in esse si attuava un principio veramente di fondo: l’attenzione all’universale umano. Questo è un elemento che ci deve guidare nel storicizzare la nostra azione pedagogica. Non si deve indulgere a suggestioni campanilistiche, localistiche, prediligere una certa cultura, ma, mi sembra che sia abbastanza chiaro, si tratta di portare a fiorire questo universale umano in ogni contesto culturale, per cui noi in quanto uomini (e donne naturalmente) siamo tutti fratelli, tutti uguali indipendentemente dalla razza, ceto, estrazione, colore della pelle, ecc.. In noi è vivo questo archetipo, diciamo così, umano, che ha molte manifestazioni “locali”, diversificate, ma noi dobbiamo ricollegarci a questa forza dello spirito umano, all’archetipo che s’incarna in ogni uomo.

Tutto questo richiede però all’insegnante una trasformazione perché appunto in questa epoca storica la nostra cultura è così intellettualistica, è così astratta, è così superficiale. E lo é proprio come sfida, come una sfida verso di noi, affinché noi possiamo elaborare liberamente un altro cammino: un cammino verso una maggior profondità, verso una maggiore penetrazione nella realtà umana. Questo però può essere realizzato soltanto con la nostra volontà, può avvenire solo se la vogliamo liberamente.

Ecco quindi che nasce il grande, problematico compito di trasformarci, il che in una certa misura è anche possibile. Steiner dice molto chiaramente: “…Non si tratta di diventare chiaroveggenti, di arrivare al grado dell’Immaginazione, Ispirazione e Intuizione (cammino questo che è riservato a pochissime persone), essi non sono richiesti assolutamente a tutti gli insegnanti, però l’insegnante deve autoeducarsi e cominciare ad aver un certo sentore che esiste un mondo diverso da quello che ci è mediato semplicemente dall’intelletto, dall’intellettualismo della nostra cultura”. Questo richiede appunto trasformazione, richiede periodi di formazione, cominciando dall’elemento artistico. L’elemento artistico è così importante, ma anche così difficile per alcune persone, ma porta in noi una profonda trasformazione, una maggiore sensibilità per gli elementi profondi del bambino. E poi questo deve proseguire con l’autoformazione. A febbraio abbiamo avuto il convegno dell’Associazione Maestri guidato da Christof Wiechert, nel quale egli ha sottolineato fortemente proprio l’importanza di quest’elemento della formazione e della meditazione.

In questo senso ci occorre arte e scienza dello spirito, attività meditativa per il maestro e per il collegio degli insegnanti: questi sono due strumenti poderosi, se li attuiamo con serietà e con sistematicità. Ed essi possono veramente consentirci di cominciare a “leggere” il bambino.

Allora possiamo notare che nell’educazione intervengono fattori imponderabili. Questi fattori imponderabili sono essenziali e lo saranno sempre di più, perché in futuro l’educazione del bambino e del ragazzo avverrà sempre di più non tanto per le nozioni, ma per le intenzioni ed i sentimenti del maestro.

Steiner sottolinea spesso l’importanza dell’elemento della dedizione, l’elemento dell’amore e, per i più grandi, della volontà di guidarli verso l’autonomia, verso la libertà, verso la realizzazione della propria personalità, della propria forza d’iniziativa. Le proposte pedagogiche che ci vengono date vanno intimamente vissute, in modo di comprenderne la pregnanza. Un esempio è l’uso delle immagini: si parla spesso di queste immagini nella nostra scuola, tutti le conoscete, ad esempio l’immagine del bruco che fila il suo bozzolo, diventa una crisalide dalla quale poi si libera la farfalla. Commentando la prassi di portare le immagini ai bambini, Steiner ci dice che se l’insegnante le ripete come una storiellina e, dentro di sé, la ritiene una bambinata, la forza delle immagini viene svilita. Mi viene in mente Collodi, che aveva detto che Pinocchio era una bambinata, salvo scoprire che in Pinocchio c’è una realtà molto profonda, esoterica. Se invece il maestro si rende conto della profonda coincidenza tra questo volar fuori della farfalla, con l’anima che alla morte si libera dal corpo e va nel mondo spirituale, e ci crede profondamente, il rapporto con la classe cambia totalmente e diventa veramente un rapporto educativo. I bambini saranno entusiasti di questo racconto.

Io ho appunto finito un’epoca di chimica in settima classe e ho visto, come vedo da tanti anni sempre più, che compenetrare questo mondo della natura con meraviglia, con amore, con partecipazione e fantasia, porta nella classe un’armonia, un entusiasmo incredibili. Se però io penso che in realtà tutte queste manifestazioni sono solo effetti di azioni meccaniche, di atomi e cose di questo genere, il risultato è totalmente diverso.

Occorre quindi la compenetrazione nella materia d’insegnamento, cercando di comprenderne i motivi per cui essa viene portata, e quindi un’immagine può diventare un’altra immagine. Bisogna sviluppare le forze della fantasia, le forze dell’immaginazione e comprendere che esse si approfondiscono nella realtà assai più che la conoscenza scientifica-intellettuale. Infatti Steiner dice, a proposito di questo diverso cammino educativo: la conoscenza intellettuale non si approfondisce molto nella realtà, l’immagine invece dice molto della realtà. Si può però incorrere in errori, e allora accanto alla forza della fantasia noi dobbiamo collegarci con coraggio alla verità. Egli conclude il suo primo seminario per maestri con i noti versetti che qui voglio ripetere:

“Compenetrati di fantasia,

abbi il coraggio della verità,

affina il tuo sentimento di animica responsabilità”.

La verità, come viene citata qui, ha il senso di non portare ai bambini delle cose fantasiose, ma delle fantasie che corrispondono a cose reali, ai tempi che stiamo vivendo.

A sostegno della fantasia nell’insegnamento ha avuto luogo recentemente a Dornach, dal 12 al 18 aprile 2004, il Convegno Internazionale dei maestri Waldorf che si tiene ogni quattro anni, a cui hanno partecipato più di 20 insegnanti italiani e questa è stata una cosa veramente molto bella. Ci siamo incontrati con altri 1300 insegnanti da tutto il mondo – veramente una marea d’insegnanti – di 48 Paesi diversi e di tutti i continenti.

Vorrei leggervi una fiaba sulla fantasia molto antica, di origine persiana che è stata riscritta da uno scrittore tedesco del tempo di Goethe, Friedrich Rueckert, la fiaba di Fantasia, Arguzia e Ragione

“In un alto paese montano viveva un tempo una gigantessa enorme: il suo nome era “Fantasia”. Perché non si sentisse sola ed annoiata, aveva accanto a sé, per ingannare il tempo, un nano che aveva nome ‘Witz’ (arguzia). Un po’ discosto c’era una terza figura, che se ne stava spesso sulle sue, non si muoveva molto e amava guardare quello che gli altri due combinavano: era un uomo con una figura ben formata, non troppo alto né troppo piccolo, non troppo grasso, né troppo magro. Si potrebbe desumere che dovesse apparire molto prestante, di fatto però era piuttosto esile e pallido. Il suo nome era ‘Ragione’.

Un giorno la gigantessa Fantasia alzò appena un po’ una mano. Non che l’avesse dovuta alzare molto, no: essa mosse appena un po’ il suo braccio nell’aria e le sue larghe dita presero una stella! Era veramente una grande gigantessa.

Così essa prese una stella e l’agitò un pochino in qua ed in là: allora ne vennero scintille vicine e lontane, come se un fabbro celeste avesse colpito col suo martello l’incudine solare. Figuratevi il nano quando la vide! Come un lampo piombò sulle scintille incandescenti e mise la loro luce nella sua piccola borsa. Poi la gigantessa alzò la mano e questa volta acchiappò una nuvola, la prese e se la mise sulle spalle come un manto. Ora essa riluceva di porpora.

Come Witz vide ciò, come potete ben immaginare, ci saltò dentro. Appena si mostrava anche la più piccola pieghetta nel manto, ci guardava dentro e si sbellicava dalle risa – naturalmente c’erano moltissime pieghe non appena la Fantasia si muoveva! Era proprio un ridacchiare vanitoso, nella penombra della sera. Alla fine fu troppo anche per Fantasia, essa disse a Witz che le sue osservazioni le sembravano un po’ sciocche. Ma al paragone con il chiacchiericcio di Witz la sua voce risuonò come un colpo di cannone. Allora il nano tacque immediatamente. Appena però la gigantessa tornò a tacere, lo si sentì di nuovo ansimare e squittire. Soltanto Ragione pareva passare il tempo a disagio, nella comunanza tra Fantasia e Witz. Alla fine si allontanò e mormorò scoraggiato che il tutto gli pareva piuttosto poetico..”

Questo tema della fantasia è un tema immenso, educativamente importante fino ai 18 anni e oltre, sarebbe bello esaminarlo a fondo ma purtroppo non abbiamo tempo. Sempre in questo primo campo del rapporto del maestro col bambino, vorrei ricordare un’altra caratteristica di questa scuola che secondo me vale la pena di sottolineare e cioè che la nostra non è una scuola selettiva, non è una scuola in cui si bocci. In questa scuola non si guarda tanto alle prestazioni, quanto ai progressi ed allo sviluppo del bambino. Mi viene in mente una frase di Steiner che é arcinota, ma che vale sempre la pena di ricordare: “Ci sono tre modi per educare: con l’ambizione, con la paura e con l’amore. Noi rinunciamo ai primi due”.

Qui c’è il rifiuto di una scuola meritocratica, selettiva, privata e che punti solo sull’ambizione dei ragazzi – e dei loro genitori. Non quindi una scuola selettiva per pochi, che diventano i superuomini, i supercapi di domani, ma una scuola in cui l’ambizione non deve avere importanza più di tanto. Noi rifiutiamo la paura, il terrore della punizione, del voto, della bocciatura e tutte queste cose. La vera forza educativa è quella dell’amore, quindi lasciamoci compenetrare dall’entusiasmo per il bambino, di questo essere stupendo che cresce e ci stupisce sempre con la sua bellezza e la sua spontaneità. Quindi occorre badare non tanto ai suoi risultati, alle sue prestazioni, quanto al suo progresso, al suo sviluppo.

Tutto questo viene gestito (brutta parola, scusatemi..) dal maestro di classe. Nelle nostre scuole abbiamo il maestro fino all’ottava, salvo qualche eccezione. Il maestro è il re nella sua classe e gli si deve consentire la libertà pedagogica e creativa, la fantasia e la capacita d’immaginare quello che occorre per i suoi bambini: per bambini concreti, proprio quelli che ha in classe, che hanno certi genitori, che hanno certe situazioni, che sono in una certa città. Qui si vede l’importanza di questa libertà pedagogica.

Però in una scuola di classi non ce n’è una sola, ce ne sono tante e quindi ci sono tanti re che devono coesistere. A questo punto arriviamo al secondo aspetto, al secondo e più ampio “cerchio” della nostra scuola, non soltanto quello del rapporto col bambino, ma del rapporto sociale che i maestri hanno con tutti gli altri maestri della scuola e che hanno anche con i genitori, con tutti gli adulti che intervengono nel processo educativo.

Come sappiamo, nella scuola Waldorf non c’è un direttore pedagogico, (questo è un argomento che verrà affrontato in uno dei gruppi di studio): ora voglio sottolinearne le motivazioni di fondo, per richiamarcele alla mente. All’inizio della Scuola Waldorf, quando Steiner dette il suo triplice seminario, disse: ”Noi non avremo un direttore, il direttore per noi sarà l’antropologia, lo studio dell’antropologia, cioè lo studio dell’antropologia antroposofica e quello che ci dirigerà nella nostra azione è la conoscenza del bambino e le richieste che il bambino ci pone nelle classi”. Egli ci ha additato un direttore soprasensibile: lo studio che i maestri fanno nel collegio sui bambini e sull’effetto del loro insegnamento su di essi, alla luce dell’antropologia di Rudolf Steiner. Questo è un altro elemento fortemente caratterizzante della scuola Waldorf, che la direzione pedagogica della scuola sia affidata ad una comunità di pari – gli insegnanti – che si riuniscono periodicamente. Qui voglio leggere un testo sul collegio che mi sembra molto significativo. Ci sono vari punti in cui Steiner parla delle riunioni di collegio, ma mi sembra interessante il seguente, preso da “Vita spirituale del presente e educazione”: “Queste riunioni degli insegnanti non hanno solo lo scopo di preparare le pagelle per gli scolari, confrontarsi su questioni amministrative della scuola e simili oppure su punizioni che si devono dare agli scolari se hanno commesso qualcosa di male. Essi sono, in realtà, la continua, vivente università per il collegio, per gli insegnanti, sono il costante seminario.

Lo sono per il fatto che per il maestro ogni singola esperienza che fa nella scuola diviene un oggetto per il suo apprendimento, per la sua educazione. In effetti chi, mentre insegna, mentre aiuta, da un lato trae dall’esercizio dell’insegnamento e dell’educazione il più profondo criterio psicologico per portarlo nella pratica diretta e dall’altro lo trae dalle particolari caratteristiche del carattere e del temperamento del bambino, ricava dalla pratica dell’insegnamento una tale educazione, un tale insegnamento per se stesso che troverà sempre qualcosa di nuovo, nuovo per sé, nuovo per l’intero collegio degli insegnanti, con il quale nelle riunioni devono venire scambiate tutte le esperienze, tutte le conoscenze acquisite nell’esercizio dell’insegnamento. Così il collegio degli insegnanti è davvero integralmente una unità animico-spirituale e ognuno sa cosa fa l’altro, quali esperienze ha, in quale misura l’altro è progredito attraverso quello che ha sperimentato in classe con i bambini.

Così il collegio degli insegnanti si plasma in un organo centrale, dal quale può emanare tutta la linfa per la pratica dell’insegnamento e l’insegnante si mantiene in tal modo fresco e vivo.

Il miglior effetto è presumibilmente che attraverso tali unioni, attraverso una tale vita, nelle riunioni gli insegnanti rimangano appunto interiormente vivi, non invecchiano nell’anima e nello spirito. Infatti il maestro vero e proprio tende a rimanere animicamente e spiritualmente giovane. Questo può avvenire soltanto se una linfa animico-spirituale scorre verso un organo centrale, così come il sangue umano scorre verso il cuore e da là, nuovamente verso la periferia”[1].

Vedete in questa bellissima caratterizzazione i motivi per cui noi insegnanti ci riuniamo in un collegio e così attuiamo un seminario permanente, che continua tutte le settimane o almeno con grande frequenza, in cui ogni insegnante mette in comune le proprie esperienze, senza senso di rivalità, e che appunto, come dice Steiner in un altro ciclo, ”comunica le sue osservazioni, per l’amore che egli ha per ciascun bambino in particolare. E con ciò io non intendo quel tipo di legame sentimentale di cui si parla spesso, ma l’amore dell’artista per la sua opera d’arte, la sua opera d’arte educativa”.[2] Questo elemento conoscitivo – mettere in comunione le proprie esperienze, indirizzato dal desiderio di fare il bene del bambino – crea un’unità animico-spirituale. Può capitare che nei collegi non si riesca a fare questo perché siamo così oberati da compiti organizzativi, da questioni di tutti i tipi, che alla fine la parte di elaborazione della nostra vita scolastica coi bambini passa in secondo piano o addirittura non ha luogo, ma questo è molto pericoloso perché alla fine manca questa unità animico spirituale che appunto è il cuore della scuola.

Il collegio è un elemento di freschezza e di giovanilità del corpo insegnanti. In altri passi Steiner raccomanda proprio che l’insegnante non deve inacidire, non deve sclerotizzarsi. Malgrado sia oberato ed angariato dai fatti della vita, della famiglia, della vecchiaia, della malattia, deve trovare altre fonti per rimanere giovane. Anche questo è un tema che potremo sviluppare in un gruppo di studio: questa fonte di giovanilità e di freschezza che è necessaria per educare i bambini, per far fare loro una bella esperienza, da dove la possiamo trarre, come la possiamo ottenere?

Un altro punto importante è naturalmente il rapporto coi genitori. Sempre in “Vita nel presente e nell’educazione” abbiamo una dichiarazione che è molto interessante: “Come la riunione degli insegnanti è importante verso il centro, così verso la periferia sono importantissime le riunioni coi genitori. Cerchiamo d’organizzare le serate coi genitori almeno ogni mese o, in ogni caso, di quando in quando. In esse cerchiamo di riunire genitori che hanno bambini nella nostra scuola e che possono intervenire. Da parte dei maestri viene esposto ai genitori ciò che può creare un legame tra i bambini della scuola e le famiglie. Facciamo gran conto proprio su questa comprensione, che da parte dei genitori viene incontro all’intera scuola, poiché noi insegniamo, educhiamo, facciamo regolamenti e programmi, ma attingendo da quanto è vivente. Non possiamo neppur dire:’Abbiamo seguito il piano di studi che ci è stato ordinato in qualche modo dall’esterno e abbiamo fatto la cosa giusta’ “[3]. Vedete, questo riferimento: ‘Abbiamo un piano di studi, lo abbiamo seguito, cosa vogliono di più questi genitori? Stiano, buoni, basta!’ non va affatto bene, lo dice proprio lui. In altri passi poi Steiner ritornerà su questo tema, dirà che il piano di studi va meditato, la didattica va dimensionata tenendo conto della situazione sociale, dal come vivono i bambini e i loro genitori e quindi ci deve essere un stretto rapporto di realtà, la scuola deve essere inserita nella realtà, sia antropologica, sia sociale. Noi abbiamo nelle scuole questo grande attivismo dei genitori, che aiutano per le feste, per il bazar, per costruire tante cosine, anche tavoli, come è capitato recentemente…, bamboline e così via. Questo è il punto: che rapporto abbiamo coi genitori? Sono semplicemente dei lavoratori che fanno qualcosa per la scuola? Che interazione c’è? Questo è un altro bel tema da discutere, perché a questo è legato l’inserimento della scuola nel nostro momento storico.

Il terzo tema che vorrei affrontare, il terzo ‘cerchio’ diciamo così, è quello legato alla vita del collegio in generale. Sappiamo che oggi in molte scuole europee la riunione di collegio è divisa in tre parti: un collegio pedagogico, di cui abbiamo parlato adesso e che è il vero cuore della scuola; c’è poi tutta una parte organizzativa che deve essere affrontata, infine c’è il cosiddetto collegio interno. Il collegio interno è quella parte degli insegnanti che si occupano del “Progetto scuola”: dove vuole andare la scuola, che cosa vuole ottenere a livello educativo, quali principi ha? Anche questa è una parte importantissima della scuola, perché è lì che la scuola riflette su se stessa ed approfondisce la sua identità, la sua identità Waldorf in una determinata situazione storica ed ambientale. Questa tripartizione del collegio può non essere oggi più tanto efficiente; nasce l’esigenza di attuare un’organizzazione migliore. Questo è particolarmente evidente nelle grandi scuole, che hanno otto classi, poi magari anche le superiori. Qui il collegio pedagogico (quello generale) può arrivare a dover trattare una tale quantità di questioni e di temi che alla fine si paralizza e non rimane più il tempo per fare un discorso sul progetto scuola, sull’idea, sulle motivazioni spirituali della scuola. In questi collegi generali tutti si sentono talmente oberati e stanchi, per cui spesso ci si riduce ad affrontare solo le tematiche più indispensabili, quotidiane. Se noi però lavoriamo in una scuola soltanto per il quotidiano, in poco tempo la scuola perde la sua qualità Waldorf. E questo è il destino di tutte le strutture ispirate dall’antroposofia. Steiner stesso si esprime chiaramente al riguardo come potete leggere in un bel libro, “Fare antroposofia”. Qui Steiner dice: “Una struttura, che può essere anche ottima, dopo un certo numero di anni non può essere più adatta alla sua funzione. Non possiamo rimanere legati ad una struttura come a qualcosa d’immutabile. Dobbiamo sempre evolvere, a un certo punto ripensare se questa struttura corrisponde agli obbiettivi spirituali-animici dell’organizzazione o se ormai è diventata qualcosa di morto, che ci blocca”[4]. Quindi questo è un discorso che, secondo me, è oggi molto attuale nelle scuole per cui, sempre sulla rivista “Arte dell’educazione”, verranno stampati alcuni contributi su possibili altre strutture del collegio degli insegnanti ed anche dell’amministrazione della scuola, proprio per evitare questa paralisi, questo blocco.

Sapete che in molte scuole ci sono già delle commissioni che hanno un compito particolare nel cui ambito possono anche avere potere decisionale. In tal modo si delegano a queste commissioni delle funzioni che quindi non devono essere affrontate all’unanimità. Lo stesso principio delle decisioni all’unanimità va messo in discussione, perché, appunto, spesso può diventare il terrore dell’unanimità. Cosa voglio dire con questo? Se l’unanimità é intesa in senso assoluto basta che io dica di no e blocco tutto. Uno ha il potere di bloccare lo sviluppo della scuola semplicemente per il fatto che c’è questo principio dell’unanimità. Ma non esiste da nessuna parte in Steiner: Steiner parla di una grande maggioranza, non dell’unanimità.

Dietro alla questione delle strutture stanno gli spiriti, le anime dei maestri e dei genitori, che si confrontano con l’ideale della scuola Waldorf e vogliono attuarlo e quindi hanno da cercare la struttura migliore, più adatta per poter funzionare e rispondere anche a tante richieste che provengono dall’esterno. E con questo arriviamo ad un altro punto, il rapporto della scuola con le altre scuole. Torna qui il tema del movimento Waldorf, nazionale ed internazionale.

Steiner ripete in tutti i cicli pedagogici che l’insegnante non può confinarsi al suo compito d’insegnante di classe o di materia in una determinata classe: una volta che egli abbia raggiunto una certa esperienza deve ampliare la sua visuale non solo in senso culturale ma anche sociale. Deve tendere ad ampliare il suo angolo visuale a livello di tutta la cultura, di tutto quanto avviene nel mondo. Questo è un compito molto impegnativo, ma ritengo che in ogni scuola ci debba essere almeno qualche insegnante che si preoccupa di andare oltre la vita immediata della propria scuola. Noi in Italia siamo piuttosto legati al nostro “campanile”, cioè: ‘La mia scuola è la migliore di tutte, quella che c’è a distanza, anche di pochi metri, ah, quella è tutta un’altra cosa!’. In certe regioni d’Italia ci sono già degli esperimenti molto interessanti, ma in altri non c’è comunicazione, non si va oltre la fisica costruzione della scuola e questo, secondo me, sta diventando sempre più limitativo. Dodici anni fa è stata fondata la Federazione delle scuole Rudolf Steiner in Italia, che ormai è presente in tutta Italia. Si è affermata come un valido elemento di promozione del movimento Waldorf in Italia. Per questa sua natura nazionale consente una visuale, una comunanza, anche un’interazione tra diverse scuole, che vediamo anche in questa occasione. Quest’anno si è cominciata un’attività abbastanza interessante, quella di tutoring che ha riscosso un certo successo: alcune scuole si sono rivolte alla Federazione per avere un sostegno nei loro problemi e c’è stata una certa risposta, sempre inadeguata, naturalmente, ma qualcosa è avvenuto, in modo da aiutare le scuole attraverso interventi d’esperti o anche di mettere in comunicazione piccole scuole che sono appena nate con scuole più esperte, in modo da realizzare questo rapporto, in cui la piccola scuola possa sapere a chi rivolgersi quando ha bisogno d’informazioni, di spiegazioni didattiche e materiali. Questo è una cosa che crea un tessuto vivente all’interno dell’ambiente italiano, di comunicazione, di collaborazione che ritengo veramente molto positivo. Naturalmente i problemi della scuola sono pesanti, non c’è dubbio, e vanno affrontati, “presi per le corna”, perché non possiamo scaricarli all’esterno: i nostri bambini devono fidarsi di noi, i nostri genitori devono fidarsi di noi, però certi aiuti possono benissimo arrivarci da fuori. Se abbiamo il coraggio d’aprirci e d’aprirci sinceramente, in modo da permettere una comunicazione veramente sincera, nascerà la fiducia che un aiuto reciproco è possibile. Allora possiamo veramente aiutarci e così potenziare quest’attività così importante anche per l’evoluzione del movimento Waldorf italiano.

Ma questo non è tutto: vorrei soltanto comunicarvi alcuni fatti che sono emersi molto recentemente, sia a Dornach, sempre in quel convegno di metà aprile, dopo Pasqua, sia all’Expo su “Educazione e lavoro”, a Milano, fine aprile 2004, quando c’è stata una presentazione pubblica della pedagogia Waldorf.

In Israele esiste una scuola Waldorf in cui bambini ebrei e palestinesi frequentano insieme, nel tentativo di riuscire a creare una comunità al di là dell’elemento religioso, culturale, razziale. Anche qua affiora l’elemento dell’universale umano. E’ una cosa veramente importantissima perché ora constatiamo ogni giorno di più i guasti che porta il rimanere ancora collegati all’elemento razziale, con tutto questo sconvolgimento di passioni, violenza e crudeltà che lo accompagna. A Mannheim è nata una scuola interculturale, per bambini tedeschi e turchi in cui si parlano le rispettive lingue, dato che in Germania c’è una forte presenza di turchi. Quale successo avranno queste iniziative lo dirà il futuro, però anche questo è un tentativo di aprirsi al mondo, in particolare al mondo islamico.

Un’altra iniziativa interessante è in corso, promossa dalla Federazione inglese e a cui partecipano cinque Paesi: Inghilterra, Germania, Svezia, Olanda ed Ungheria. Si vuole formulare nel giro di tre anni un progetto di scuola Waldorf e di esame Waldorf da presentare alla Comunità Europea. Qui vediamo cinque Paesi che si mettono insieme per cercare di costruire un percorso che abbia una visibilità europea, non soltanto legata al singolo Paese. Questa tendenza al mondialismo è molto importante.

Ma c’è un altro aspetto, di cui possiamo appunto chiedere conferma ai nostri ospiti norvegesi: sempre alla conferenza dei maestri c’è stato un intervento del movimento norvegese. Il maestro norvegese che lo ha tenuto ha raccontato delle attività in Norvegia (tra parentesi, la Norvegia non ha aderito all’Unione Europea). Raccontava che la Norvegia è certamente il paradiso Waldorf, questo lo sanno tutti: ci sono alunni che possono passare direttamente all’università senza sostenere un esame di Stato perché il lavoro dell’anno conclusivo è condotto in modo tale da avere valore legale. Ma, disse il maestro, come sapete anche nei paradisi ci possono essere dei serpenti e questo serpente si chiama Unione Europea. Perché l’Unione Europea sta elaborando un concetto di controllo di qualità da estendere a tutti gli esami di tutti i Paesi, quindi riemerge la tendenza di confrontare tutti gli allievi a certi standard, diciamo europei. E questo è proprio uno degli argomenti che a noi non piacciono molto, perché appunto vogliamo che i ragazzi possano fare un percorso individualizzato, affinché diventino se stessi. Comunque questi temi andrebbero approfonditi e valutati, perché non è tutto oro quello che riluce, ovviamente. Ho voluto soltanto citarli per mostrare come sempre più diventa necessario questo confronto con le istituzioni, ottenendo il riconoscimento scientifico come avviene già in Inghilterra, e, perché no, il riconoscimento a tutti i livelli da parte delle istituzioni. Ciò anche per evidenti motivi economici, ma, prima di tutto, dal punto di vista culturale, perché questa pedagogia nostra possa avere un influsso positivo sulla scuola statale. Questo è un altro elemento che, secondo me, diventerà sempre più importante nel futuro, perché appunto la scuola Waldorf ha delle conoscenze, soprattutto delle esperienze, che possono fecondare la scuola in generale e quindi portare una migliore educazione per tutti i bambini del mondo.

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[1] Rudolf Steiner, conf. del 17.8.’23, “Vita nel presente e nell’educazione”

[2] Rudolf Steiner, conf del 23.8.1922, “Le basi spirituale dell’educazione”,

[3] ref.1

[4] Karl.M.Dietz, Fare antroposofia.