Lo sviluppo della coscienza dell’io durante l’infanzia

da “Il significato delle malattie nei primi tre settenni” di Walter Holtzapfel

Widar Edizioni – Piazzale della Concordia, 12/7, Venezia

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Nei capitoli precedenti abbiamo visto che nel corso delle tre età dell’infanzia e dell’adolescenza il giovane essere umano si confronta con compiti e richieste sempre nuove. Dal contrasto tra il suo essere interiore e le esigenze esteriori nascono situazioni di crisi e possibilità di malattia. Finora abbiamo rivolto la nostra attenzione soprattutto a come cambiano le richieste dall’esterno. Ma anche il vero e proprio essere del bambino, che si confronta con tali esigenze esterne, vale a dire il suo “io”, subisce una trasformazione, e va studiato nei diversi stadi.

Con la parola “io” si intende il centro interiore dlel’essere umano, ciò che gli permette di prendere possesso in modo responsabile della propria vita. Solo con la maggiore età, che secondo un’antica tradizione comincia verso il 21° anno, si richiede alla persona questa responsabilità autonoma; dal bambino non ce l’aspettiamo ancora.

Eppure il bambino diventa molto presto consapevole del centro della propria interiorità, e le sue manifestazioni vitali tradiscono l’intervento di questo impulso centrale di autonomia. Ma il modo in cui si manifesta la coscienza dell’io mostra chiaramente che si tratta di una comparsa anticipata e ancora immatura di un grado di coscienza che raggiungerà la maturità solo con la maggiore età. Però anticipazione e ritardo (immaturità) sono sempre tratti che portano a situazioni di crisi. Per aiutare il bambino in queste “crisi” non dobbiamo spingerlo ancora di più ad anticipare la sua autonomia, ma dobbiamo tener conto dei principi pedagogici corrispondenti all’età: “imitazione” nel primo settennio, “autorità” nel secondo. Spesso, dimostrando un certo egoismo dell’adulto, ci lasciamo ingannare e ci rallegriamo tutte le volte che il bambino si dimostra autonomo, assennato, in una parola “grande”. Così facendo non gli facciamo alcun bene. L’anticipazione infatti che si manifesta in questo essere “grande” continua nel corso successivo della vita e può poratre a un precoce invecchiamento.

Il primo risveglio dell’autocoscienza viene segnato inconfondibilmente dal fatto che il bambino comincia a dire “io” di se stesso. Questo avviene verso il terzo anno. Questa prima manifestazione di autocoscienza del bambino avviene in una forma stranamente ‘carica’. Gli psicologi infantili parlano di una “fase del no” del bambino piccolo. Il bambino mostra una sorta di ostentazione, un rifiuto. “Voglio” e soprattutto “Non voglio” diventano frasi molto usate. Nel sottolineare la propria volontà e nel negare le richieste della volontà altrui, il bambino diventa cosciente per la prima volta del contrasto tra io e mondo, e sperimenta questo contrasto con una certa soddisfazione. Se la sua volontà non viene riconosciuta il bambino può esplodere in manifestazioni di rabbia, urla, capricci, buttarsi per terra, con cui il piccolo tiranno impone spesso la propria volontà.

L’intensità con cui il bambino cerca di imporre la propria volontà a questa età porta talvolta a manifestazioni che rasentano la patologia: il cosiddetto “crampo del respiro” del bambino. Il bambino urla così forte da perdere il respiro, e in qualche modo dimentica di inspirare di nuovo. La respirazione cessa, il viso assume un colorito bluastro, il bambino perde coscienza e cade a terra bocconi. Dopo pochi secondi, con un profondo respiro si riprende e torna in sè. L’intero processo non ha conseguenze per la salute, ma fa una tale paura che i genitori cedono alle richieste del bambino, sperando in tal modo di evitare il ripetersi di questo terribile evento. Dal punto di vista pedagogico invece il comportamento giusto è di ignorare “l’attacco” e di affrontare il bambino con traquillità e fermezza. In questa età la traquillità e la fermezza si imprimono nel bambino tramite la facoltà elementare dell’imitazione e producono in lui progressivamente la forza che tiene in equilibrio l’eccessivo impulso all’autonomia.

Un esempio di questo avvenimento critico è dato da un bambino nel terzo anno di vita, che durante il giorno veniva accudito dai nonni dato che i genitri lavoravano. Questi lo viziavano molto e non gli negavano alcuna richiesta. Se i genitori quando tornavano a casa la sera chiedevano al bambino di fare qualcosa, oppure non soddisfacevano un suo desiderio, lui cominciava a urlare ferocemente, diventava tutto rosso, poi bluastro in viso; poi improvvisamente taceva, faceva qualche respiro crampiforme, e si guardava intorno impaurito come in cerca d’aiuto. Il suo stato suscitava un grande spavento e i genitori lo prendevano prontamente in braccio battendogli con forza sulla schiena. Di regola il bambino si riprendeva rapidamente. Qualche volta però rimaneva incosciente per un pò di tempo. Con i nonni questi attacchi non si verificavano mai, e quindi essi rimproveraravano i genitori di essere la causa della malattia con la loro severità.

C’è qualche cosa di delizioso nell’esperienza delle prime fresche ed esuberanti manifestazioni dell’autocoscienza. Ma proprio in una manifestazione così estrema come il “crampo del respiro” appare chiaro che l’io del bambino si manifesta ancora in modo immaturo. L’esperianza della forza porta se stessa all’assurdo, finendo con lo svenimento.

Il successivo passaggio nello sviluppo dell’autocoscienza si manifesta verso il nono-decimo anno, in modo completamente diverso. L’io questa volta si sperimenta non nella volontà, ma nel sentire, non in una esperienza di forza, ma al contrario in un sentimento di debolezza, insicurezza, abbandono, persino timore e ansia. Il bambino, che sino ad ora si era sentito portato e protetto dal mondo circostante, diventa ora cosciente in un modo nuovo e più chiaro del suo contrasto con il mondo. L’autorità dell’adulto non è più data per scontata. Sorgono i primi atteggiamenti di critica, che i genitori e gli insegnanti percepiscono chiaramente. In questa critica presa di distanza l’io sperimenta se stesso, nella debolezza e nella solitudine. Non ha ancora la forza di confrontarsi veramente da solo con il mondo.

Rudolf Steiner ha parlato spesso del significato del nono-decimo anno, e ha sottolineato che in questa messa in discussione dell’autorità, deve rimanere almeno una persona nella quale il bambino possa continuare ad avere totale fiducia. Se questa persona non c’è, resta una debolezza interiore che agisce nel prosieguo della vita. Ciò di cui il bambino ha bisogno è in fondo un elemento paterno, che non deve essere necessariamente rappresentato dal proprio padre. Può essere la madre, o un insegnante, o qualsiasi altra persona sulla quale il bambino sappia di potersi appoggiare.

Il delicato momento di sentimento che caratterizza l’esperienza animica del bambino di nove anni, rende possibile anche un’interiorizzazione cosciente del mondo circostante, che può manifestarsi in brevi poesie, in una sorta di lirica della natura.

Una ragazzina di nove anni, molto dolce e brava, una mattina a colazione fissò a lungo pensierosa la madre e disse infine: “Mamma, effettivamente sei un po’ grassa!” Un giudizio simile non sarebbe mai venuto in mente a un bambino più piccolo, per il quale la mamma è semplicemente la mamma e non può apparire diversa da come è. Ora, con un distacco maggiore dal mondo, il bambino sperimenta questa nuova conoscenza, e “critica” l’aspetto della madre, fino ad allora perfetto sotto ogni punto di vista. La stessa bambina durante le vacanze estive nello stesso anno, scrisse brevi poesie in cui cercava di esprimere in modo ingenuo, ma sentito, ciò che sperimentava nei fiori e negli insetti. Questa facoltà andò subito perduta, e sarebbe stato sbagliato sottolinearla e stimolarla. Per quanto queste poesie fossero commoventi e piene di umanità erano tuttavia l’espressione di un impulso anticipato, che si potrà sviluppare con forza solo più tardi se non viene tirato fuori ora precocemente.

La labilità e la delicatezza dell’esperienza psichica si estendono allo stato di salute. Tutti i fenomeni fortemente fluttuanti come i mal di testa, i mal di pancia, le palpitazioni, ecc. che abbiamo già descritto come “mal di scuola” raggiungono ora il culmine. Gli autori inglesi parlano anche di “sindrome periodica”, evidenziandone in tal modo il carattere alternante-oscillante. Gli stessi autori esprimono l’ipotesi che tutte queste manifestazioni, per quanto diverse fra loro, possano avere la stessa causa, altrimenti non potrebbero alternarsi l’una con l’altra. Ma qual è questa causa comune? Essa sta nella descritta labilità interiore del bambino, che culmina verso il nono anno. Le pressioni del mondo esterno, come l’eccesso di stimoli sensoriali, la rottura di legami familiari, l’eccessiva richiesta scolastica, non sono la vera causa, sebbene agiscano come elementi scatenanti. Essi non potrebbero avere una simile azione patologica se non incontrassero l’io del bambino in uno stadio in cui è privo di protezione e non può ancora elaborare completamente questi influssi.

Di nuovo dobbiamo dire: la soluzione non può essere quella di spingere questo impulso all’autonomia in quanto tale, poiché esso è ancora troppo precoce. Si provocherebbe solo un aumento della pressione. Il vero e proprio principio educativo di questa età, l’autorità, deve affermare la propria forza anche in questa situazione di crisi, e deve esserci “almeno una persona” che resti immune alla critica che si è destata. Come un giovane alberello riesce appena a stare diritto, e potrebbe venire piegato dalla tempesta se non avesse un palo di sostegno, così anche il bambino può conseguire una stortura nello sviluppo della propria personalità se ora non trova almeno una persona a cui appoggiarsi.

Dopo che sono stati attraversati questi due primi stadi della coscienza dell’io e si sono attraversate le corrispondenti crisi, passerà ancora molto tempo prima che col 21° anno venga raggiunta la definitiva, vera e propria coscienza dell’io.

A 3 anni l’io si sperimenta nella volontà. A 3X3 anni si sperimenta nell’oscillante elemento del sentire. A 3X7 anni l’essere umano è pronto per acquisire sicurezza nella vita e forza di giudizio dall’esperienza dell’io nel pensiero, e può inserirsi in modo pienamente responsabile nel mondo.

E’ una caratteristica della parte costitutiva centrale dell’essere umano quella di raggiungere la propria meta solo dopo ripetuti inizi. L’impulso evolutivo sta proprio in un continuo e rinnovato tentativo, che scaturisce da un’attività interiore propria. Si può osservare questo motivo anche in connessioni più vaste che attraversano l’intero corso della vita umana, come nei sempre nuovi inizi in cui, nelle successive incarnazioni, l’individualità umana tende al proprio perfezionamento.