Educare oggi: i modelli del passato e il futuro dell’uomo

pensieri raccolti da Andrea Scicchitani,
per una conversazione sul tema
febbraio 2006

E’ un fatto che i bambini e i giovani di oggi saranno il nuovo mondo di domani; maggiori sono le cure che prestiamo oggi all’infanzia e maggiori sono le possibilità di un mondo migliore domani. Si tratta di comprendere come possiamo far emergere nel bambino l’essere dell’uomo, con le sue qualità migliori, con la sua dignità, i suoi aneliti ideali, la sua creatività (nell’accezione più elevata del termine).

I giovani oggi manifestano un’immensa irrequietezza, tipica dell’età, ma accentuata dalle grandi incertezze rispetto al futuro, che vivono nel mondo attuale.

Sempre più spesso leggiamo sui giornali fatti di cronaca che coinvolgono “piccoli” adolescenti.

La vecchia generazione risulta incapace di rispondere ai bisogni sociali e, rispetto ai giovani, prospetta soluzioni con patetiche riforme della scuola che non sono in grado di incidere sostanzialmente nella vita reale pervasa di conflittualità, distruttività, desolazione.

Prendiamo l’esempio del nostro attuale Presidente del Consiglio: ha impostato la sua precedente campagna elettorale sulle tre I, Industria, Inglese, Internet. In questi giorni, di nuovo, vediamo grandi cartelloni pubblicitari che ribadiscono la necessità di imparare l’inglese e dell’utilizzo di internet, per una scuola nuova. Non si guarda più alle necessità profonde dell’uomo, ma alla sua istruzione, a quanto deve sapere.

E’ una prospettiva che muove esclusivamente da interessi legati al mondo dell’economia, sempre più spesso privata di comportamenti etici, un ambito dove vediamo imperante la legge del profitto e degli approfittatori, della competitività sul piano materiale (avere e non essere), dell’arrivismo, dello sfrenato individualismo. E’ quella una realtà dove avrebbe invece un grande senso il sentimento ideale della fratellanza. Da quando nella produzione di beni abbiamo la divisione del lavoro, verifichiamo quanto siamo congiunti gli uni agli altri; non c’è un oggetto di uso quotidiano che non sia passato tra le mani di diversi uomini, materia plasmata e permeata dal lavoro altrui, prima di arrivare a noi.

Le civiltà, per poter progredire, hanno bisogno di evolversi in una società più armonica, meno conflittuale; mentre abbiamo sempre più bisogno di contenuti che possano apportare un nutrimento alla nostra interiorità, alle nostre anime, si amplia invece l’assunzione di psicofarmaci che le anime le addormentano. Gli ideali della Rivoluzione Francese, libertà, uguaglianza, fratellanza, sono più che mai valori a cui tendere.

Nell’ambito dell’educazione possiamo tener conto di quanto avvenuto in passato, nell’intimo cammino delle civiltà, di ciò che riuscì a trasformare le anime degli uomini nel corso dei millenni.

Come riusciamo a cogliere i processi della natura nel succedersi delle stagioni, allo stesso modo dovremmo tenere in considerazione l’evoluzione della vita umana per poterle dare il sostegno adeguato. Quando ci rivolgiamo a un anziano o a un bambino, utilizziamo parole e contenuti diversi, conformi al loro stato di coscienza.

L’educazione è sempre stata un’esigenza sociale; se riusciamo ad avere una comprensione delle necessità educative delle diverse epoche passate, possiamo cercare di prefigurare delle risposte per il tempo presente, così incerto e inquieto.

Nell’antica Grecia l’ideale educativo era il ginnasta. L’obiettivo era portare a manifestazione la bellezza del mondo e del cosmo nella bellezza del proprio corpo. L’individuo, allora, era considerato nella sua unità di corpo-anima-spirito, e cielo e terra erano intimamente compenetrati.

Come con un seme si cura il terreno ove viene posto, con il giusto apporto di sali e di acqua affinché possa germinare con robuste radici, e quindi si aspetta che la luce e il calore del sole sviluppino la bellezza dei suoi fiori, nello stesso modo, gli antichi educatori greci agivano sui giovani. Partivano dalla base fisica per una crescita dell’anima e dello spirito. Qualcosa di simile permane ancora oggi in diverse discipline orientali, diffuse ampiamente anche nell’occidente (yoga, tai chi, aikido, ecc.).

Il bambino greco, fino all’età di sette anni, viveva all’interno della famiglia e successivamente veniva affidato per la sua formazione al maestro ginnasta. Gli insegnamenti della geometria, della logica, della filosofia venivano impartiti successivamente ai giovani, dove potevano fiorire nelle loro anime, a cui erano state prestate precedentemente cure adeguate nell’armonia del movimento, nello sviluppo delle sue abilità fisiche.

“I ragazzi erano addestrati (mi sia lecito esprimermi così, e la parola deve essere intesa nel senso più alto) in due direzioni: una era l’<>, l’altra la <>.

L’orchestrica era, vista dall’esterno, completamente un esercizio corporeo, una specie di danza corale però organizzata in un modo del tutto speciale, un ballo in tondo nelle formazioni più svariate e complicate in cui i giovani imparavano a muoversi in una determinata forma secondo misura, cadenza e ritmo, e soprattutto secondo un principio plastico-musicale; così il giovane , che si muoveva nelle forme del coro, sentiva come un calore animico interiore che gli si spandeva con azione organizzatrice in tutte le membra, e, al contempo, il tutto era una bella danza per chi osservasse dall’esterno.

Il tutto era una manifestazione della bellezza della natura divina e, al contempo, uno sperimentare della stessa bellezza per l’interiorità dell’uomo. Veniva sentito interiormente quel che veniva sperimentato per tal mezzo, e mentre era sentito così, interiormente, si trasformava quale processo fisico corporeo in ciò che si manifestava. In ciò che animava la mano al suono di una cetra, in ciò che animava la parola nel canto…

Lo stesso si ha osservando ciò che soprattutto veniva coltivato nella palestrica; essa era bene comune di quanti venivano educati in Grecia e ne traevano il nome dai luoghi dove avveniva l’educazione. Se ci si chiede che cosa in essa fosse particolarmente coltivato, fin nelle speciali forme in cui veniva sviluppata la lotta, ci si palesa che essa era intesa a sviluppare due cose nell’uomo, cioè due modi in cui la volontà può essere stimolata dai movimenti del corpo affinché esso diventi forte e vigoroso in due direzioni. Da una parte tutti i movimenti, tutta la tecnica della lotta erano destinati a far sì che il lottatore acquistasse speciale flessibilità, abilità e adatta mobilità nelle membra. L’intero sistema di movimento doveva essere armonizzato in modo che le singole parti collaborassero nella giusta maniera, che ovunque si trovasse in una determinata condizione della sua vita animica, l’uomo potesse compiere i movimenti adatti, in modo che dalla propria interiorità egli potesse dominare le sue membra. Plasmare i movimenti per un vita nella quale l’uomo sa raggiungere i propri scopi era una parte di ciò che veniva elaborato nelle palestre; l’altra parte erano, si potrebbe dire, i movimenti radiali quando la forza doveva venir posta nel movimento. Abilità da una parte, forza dall’altra. Poter resistere e superare le forze contrastanti da una parte, essere se stessi pieni di forza, per sperimentare qualcosa nel mondo, questa era l’altra parte. Destrezza e capacità, armonizzazione esteriore degli arti nello sviluppo della forza da una parte; poter irradiare liberamente nel mondo in tutte le direzioni il proprio essere umano, dall’altra parte…Il ginnasta raggiungeva infatti nel miglior modo lo sviluppo spirituale dei greci lasciando loro la libertà, non rimpinzando loro la testa e non trasformandola in un libro, ma collocandogli organi più adatti dell’uomo in giusto modo nel cosmo.”

(Rudolf Steiner, Ilkley, 6 agosto 1923)

Possiamo intuire qualcosa di quanto ci viene esposto da Steiner se osserviamo il bambino nella sua crescita nei primi tre anni di vita: dapprima impara a ergersi nella verticale e a camminare; questo movimento esteriore diventa poi un movimento all’interno della sua anima e abbiamo il linguaggio; un movimento ancor più sottile in seguito, quando comincia a dire io a se stesso, il movimento dei suoi pensieri.

L’umanità ha continuato il suo sviluppo allorché la cultura e la civiltà greca “passano il testimone” alla romanità. Con l’avvento di Roma, il modello educativo divenne il retore. Al posto del ginnasta, subentra il retore e tutta la civiltà diventa “oratoria”. L’educazione è applicata all’eloquenza, al parlar bene, sempre secondo un modello di bellezza. Si continua a imitare il principio estetico dell’educazione ginnica dei Greci, ma avviene pure che l’educazione del corpo e quella dell’anima cominciano a separarsi. Ricordiamo che il diritto giuridico, come lo conosciamo oggi, ebbe la sua nascita e il suo ingresso nel mondo proprio grazie alla romanità.

Lentamente l’educazione del corpo cominciò a diventare secondaria e l’elemento interiore-animico a emergere. Questa nuova prospettiva si propaga attraverso il medioevo, quando poi il corpo viene additato, nella sua parte istintiva, come responsabile di peccato, e sorge la necessità di soggiogarlo alle forze dell’anima; si coltiva soprattutto l’uso della parola, l’arte oratoria come manifestazione e forza dell’anima. Per un’educazione completa dell’uomo venivano impartite le sette arti liberali: grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia, musica. Le cosiddette nozioni scientifiche di oggi non erano ritenute importanti nell’insegnamento. Tali discipline venivano utilizzate affinché l’uomo potesse cogliere, per forza propria, realtà universali legate alla vita. Verità precostituite erano assolutamente secondarie.

Dalle scuole conventuali e più in generale da tutta l’educazione medioevale, si sentì il bisogno di ridare diffusione della vita dello spirito e stimolare una moralità nell’esistenza quotidiana proprio elevando a ideale il linguaggio plasmato secondo un concetto di bellezza.

Ancora fino a un secolo fa, nelle università, persisteva un residuo di quell’impulso educativo nei corsi di eloquenza.

Il ginnasta allenava il corpo per elevare l’elemento animico-spirituale fino a pervenire alla grandezza della cultura e della civiltà greca; il retore si interessava dell’interiorità umana per raggiungere il suo splendore nell’oratore sacro che si volgeva direttamente all’anima dell’uomo.

In seguito, a partire dal XV secolo, accanto alla visione di una realizzazione dell’uomo completo, dell’uomo universale, andò affermandosi l’uomo legato al sapere. La nuova educazione non tendeva più a formare degli uomini, a permettere all’uomo di manifestare se stesso (e-ducere, condurre fuori), ma all’apprendimento del bambino, al suo sapere, alla sua istruzione, alla sua capacità di ritenere sempre più conoscenze e nozioni. Il possedere opposto all’essere.

Il nuovo modello educativo divenne il dottore, ed è questo modello che ancora vige nelle scuole oggi.

Mentre il ginnasta prima e il retore poi tendevano a educare l’uomo intero, nella sua universalità, oggi, sempre più si tende verso un sapere astratto e intellettuale. Il pensiero è divenuto così astratto che non riesce più a trovare un collegamento con la vita.

Abbiamo una scienza grandiosa che mostra però tutti i suoi limiti; abbiamo un sapere che non riesce più a comprendere (prendere dentro la vita) e, espellendo l’elemento vivente, ha inaridito la cultura e la civiltà; non è più in grado di risolvere i problemi sociali del mondo.

Occorre che noi riacquistiamo l’immagine dell’uomo intero, formato non solo da una testa ma anche da un cuore e due mani, essere che pensa-sente-agisce, essere che è espressione di un corpo, di un’anima e di uno spirito.

Occorre che consideriamo il bambino non solo nella sua forza pensante, ma anche, e soprattutto, nel suo essere di sentimento e di volontà.

Una possibilità che abbiamo è rivitalizzare i modelli del passato, ginnasta-retore-dottore, in una sintesi ove prevalgano gli aspetti peculiari al bambino, nelle diverse età dello sviluppo.

Riflettiamo ancora per un momento sull’evoluzione del bambino nei primi tre anni di vita:

verso la fine del primo anno, il primo grande avvenimento è l’ergersi, l’acquisizione della verticalità; la posizione eretta, tipica dell’uomo, permette al bambino di camminare, muoversi ed esplicare la sua volontà

nel secondo anno impara a parlare; comincia a nominare gli oggetti e così a scoprirli, si mette in relazione con essi; in questo movimento dentro-fuori, la vita della sua anima comincia a prendere forma

nel terzo anno il bambino, quando inizia a dire Io a se stesso, impara a pensare; nasce la facoltà di poter cogliere l’universalità dei concetti

Come l’acquisizione e il possesso del proprio movimento hanno potuto stimolare, nella scoperta del mondo a lui vicino, un movimento più raffinato tra la propria interiorità e ciò che stava all’esterno attraverso la nuova capacità di nominare e mettersi in relazione con la parola, allo stesso modo il primo possesso del linguaggio stimola lo sviluppo del pensare. Durante il terzo anno si vede il bambino, in alcuni momenti, ritirarsi dal gioco e dal movimento in una sorta di riflessione. Muoversi e giocare proseguono in lui su un piano invisibile, nel gioco e nel movimento dei suoi pensieri, dove comincia a creare collegamenti tra gli oggetti e tra sé e gli oggetti e l’ambiente.

Queste tre grandi conquiste, muoversi – parlare – pensare, per evolvere ed edificarsi nelle loro potenzialità necessitano di tre settenni:

Nel primo settennio il bambino vive nel movimento, nel fare, è primariamente forza di volontà. Possiamo dire che ha bisogno del “ginnasta educatore” che lo guidi. Il bambino a questa età è altresì completamente aperto a tutto ciò che gli arriva dall’ambiente, dai genitori, dalle persone che lo circondano. E imita, abbandonandosi in una sorta di religiosità pura. Tutto quanto avviene attorno a lui influenza il suo respiro, la sua fisicità. In questo momento il bambino ha bisogno di respirare religiosità nell’ambiente e nelle persone a lui vicine. Ha bisogno di acquisire la bontà di tutto ciò che lo circonda.

Nel secondo settennio, da quando la corporeità, con il cambio dei denti, ha raggiunto il suo sviluppo, il bambino ha bisogno di far crescere e potenziare la sua anima; necessita di un rapporto sempre più ampio con il mondo e di verificarne la sua bellezza. Il “retore educatore” che, attraverso l’arte della parola, mette in relazione la sua anima con quella del discente, può essere il nuovo modello. Il bambino, che vive in una sorta di coscienza mitologica, ha ora bisogno di grandi immagini per conoscere il mondo e comprenderlo nella propria anima. Fiabe, racconti, miti, leggende, storie di grandi uomini che hanno vissuto al servizio dell’umanità tutta sono un grande nutrimento. Oltre all’arte del raccontare, grande aiuto arriva dalle diverse attività artistiche: pittura, musica, disegno, scultura, recitazione e teatro.

Nel terzo settennio, dopo la pubertà, il ragazzo comincia a manifestare pensieri e giudizi autonomi. Il “dottore” può essere il nuovo modello educativo. L’uomo di scienza deve essere però in grado di portare incontro al ragazzo la possibilità di cogliere verità universali, grandi idee che possano trasformarsi in ideali. Il “dottore” dovrebbe essere persona ricolma non solo di sapere, ma anche di saggezza; uomo in grado di stimolare una scienza che possa mettere in collegamento il particolare con l’universale, l’io individuale con l’io del mondo, il mondo della materia con la realtà dello spirito.

Se riusciremo a fondere ciò che è stato separato, a riunificare il ginnasta, il retore e il dottore in un unico modello educativo, a permeare la scienza di bellezza artistica e di sana religiosità, potremo ridare ai giovani speranza e forza verso il futuro.

 

 

Per un approfondimento dei contenuti proposti, si consigliano le seguenti conferenze di Rudolf Steiner:

Ilkley, 6 agosto 1923, nel testo “Vita spirituale del presente ed educazione”

Stoccarda, 15 ottobre 1923, nel testo “Educazione e insegnamento fondati sulla conoscenza dell’uomo”

Arnheim, 24 luglio 1924, nel testo “Importanza della conoscenza dell’uomo per la pedagogia e della pedagogia per la cultura”