C’era una volta…ai bimbi in vacanza molte favole e poca TV

Considerato che le favole sono suscettibili di essere narrate ma anche trasmesse dalla TV, è dunque possibile unire le due forme di svago?

di Alessandra Muschella
(fonte: www.tecnicadellascuola.it)

I periodi di pausa sono il momento più propizio perché i più piccoli possano indugiare in attività ricreative e rilassanti. Quale sia poi l’attività preferita lo sanno un po’ tutti: scorpacciate di televisione. Magari a guardare favole, non importa se classiche o di nuova produzione, ma pur sempre come passivi fruitori di immagini. Può far male questo ai bambini? Per comprenderlo è utile avviare una breve disamina sulla natura e sugli effetti dei due stimoli.

Facendo un passo indietro è possibile ricordare i fratelli Grimm, che delle favole scrissero: “nutrono in modo immediato come il latte, leggére e gradevoli, o come il miele, dolci e nutrienti, senza pesantezza terrestre”. In effetti, un tempo le favole erano considerate come dei preziosi tesori di famiglia ed agli anziani spettava il gradito compito di raccontarle ai più giovani. Ogni popolo aveva le proprie favole e i propri cantori che le diffondevano. Col tempo il compito è stato delegato ai libri illustrati e, negli anni 50, alla TV. In alcune grandi città oggi i bambini possono addirittura ascoltare una favola componendo un numero di telefono.

Dell’intento didattico della favola, poi, si è a lungo parlato. Innanzitutto essa chiarisce ciò che in generale è capace di rendere una buona letteratura, dal momento che rappresenta problemi e conflitti e, al tempo stesso, propone strategie risolutive. In secondo luogo, la favola, per la sua brevità e la sua struttura, si presta ad essere testo di analisi. Essa spesso rappresenta per il bambino situazioni di conflitto che riescono a predisporlo alla riflessione offrendogli, al contempo, soluzioni che stimolano un esame critico dei comportamenti rappresentati e una verifica del proprio pensiero e del proprio comportamento. Una tale riflessione consente una valutazione di se stessi e del proprio comportamento in particolari situazioni.

Tutto ciò costituisce una precondizione alla capacità di comunicare e interagire. Questo, per la stessa natura della favola, comporta anche l’acquisizione di una certa capacità di superamento delle situazioni conflittuali. Va inoltre aggiunto che, da una prospettiva psicologica, la favola predispone all’apprendimento e favorisce l’acquisizione di una più veloce capacità di lettura.

A questo punto è lecito chiedersi se “ascoltare” una favola o guardarla in TV sortisca lo stesso effetto. In base a quanto fin qui detto, e a parere degli studiosi, la risposta non può che essere negativa. In primo luogo perché con la TV manca l’aspetto umano, il dialogo tra il bambino e colui che narra, in altre parole manca l’interazione diretta.

Oltre a ciò che è stato detto, da uno studio condotto lo scorso anno dall’American Academy of Pediatrics, emerge che una massiccia fruizione di TV possa addirittura portare il bambino al cosiddetto Attention Deficit Hyperactivity Disorder, vale a dire al disturbo da deficit di attenzione con iperattività, altrimenti detto ADHD oppure ADD in UK. Secondo dati recenti, il disturbo sarebbe presente sul 12 per cento dei bambini statunitensi. Ed è interessante constatare che questa particolare condizione ha cominciato a diffondersi negli States durante gli ultimi cinquant’anni, in coincidenza cioè con l’avvento della televisione.

Per portare avanti il suo studio, l’American Academy of Pediatrics ha preso in esame duemila bambini da uno a tre anni, li ha seguiti e analizzati e il risultato è stato inequivocabile: tutta colpa della TV. Fra le altre cose, la ricerca ha per la prima volta dimostrato che i neuroni del cervello di un bambino si sviluppano in maniera diversa se resta attaccato allo schermo per qualche ora al giorno. Più in particolare, il senso di realtà del bambino sarebbe alterato dalla velocità delle immagini. Il dottor Dimitri A. Christakis, direttore del Child Health Institute at Children’s Hospital and Regional Medical Center, di Seattle, che ha condotto questa ricerca, sostiene che il danno si manifesta poi, intorno ai 7 anni, quando il piccolo ha difficoltà a prestare attenzione a scuola. Secondo Christakis i ritmi della TV sono molto più veloci rispetto a quelli reali. Le immagini che un bimbo cattura dagli schermi vanno troppo veloci e magari senza neppure una precisa connessione logica. A livello cerebrale il difetto sarebbe determinato dall’errato allenamento dei neuroni. Per fare un esempio, un bimbo che gioca con le dita ha il sistema neurale che gli viene proprio dall’esercizio delle dita. Lo stesso discorso vale per il cervello, che dovrebbe esercitarsi con lo stesso meccanismo. Secondo gli scienziati, inoltre, il cervello sviluppa un sistema unico dalla nascita ai tre anni. Se un bambino, dunque, siede come ipnotizzato davanti a qualcosa, i collegamenti neuronali non si sviluppano come dovrebbero: lo sviluppo del cervello rischia di fermarsi all’età di tre anni. Nella sua ricerca condotta su duemila bambini, Christakis ha trovato che per ogni ora passata davanti allo schermo, nell’età compresa fra uno e tre anni, i soggetti più piccoli hanno quasi il dieci per cento in più di probabilità di sviluppare problemi di attenzione, che possono poi essere diagnosticati all’età di 7 anni come ADHD. Se a fare uso della TV per tre ore al giorno è un bimbo ai primi passi, le probabilità di avere serie difficoltà a scuola aumenteranno del 30 per cento.

L’abuso dipende in larga misura dalle abitudini ormai acquisite. Basti pensare che il 26 per cento dei bambini americani possiede una televisione nella sua stanza, e il 36 per cento delle famiglie americane la lascia accesa quasi tutto il tempo, anche quando la stanza rimane vuota. Eppure sembra che ai bambini più piccoli non occorra una TV per distrarsi, come dimostra il fatto che fino a 50 anni fa se ne è fatto a meno.

Altre ricerche, d’altronde, avevano già dimostrato che l’ADHD era aumentata di pari passo con l’avvento della TV, a partire dagli anni 50, e che si era impennata ancora di più a partire dagli anni 80, quando è esploso il boom dei registratori e i video per bambini. Nonostante sia noto che l’ADHD è una malattia anche genetica, gli scienziati hanno comunque notato che è trasversale a tutte le classi sociali, che colpisce indifferentemente senza distinzioni di reddito e cultura, e che la causa legata al suo espandersi potrebbe essere unica. La ricerca potrebbe aver risposto alla domanda iniziale: per i bambini guardare la TV sarebbe dunque un pericolo, pertanto molto meglio le vecchie e intramontabili favole.