Impariamo ad essere uomini a contatto con il bambino

Dr Helmut von Kügelgen (da Notiziario Weleda)

 

Una madre spinge la carrozzina con dentro il suo bambino nella folla di un marciapiede cittadino, ci sono persone che vengono incontro, che la superano, che si fermano a parlare, che vociferano.

Talvolta c’è più spazio lungo il margine, sfrecciano delle macchine, passano pesanti automezzi sulla strada, lasciando una nube nera, altre macchine si fermano impazienti davanti ad un semaforo. Poi la madre torna sul margine interno, passa davanti a vetrine sfarzose, davanti alle cassette di frutta e verdura di un negozio, poi un improvviso balzo deciso, per superare un gradino. Siamo finalmente in un ambiente interno, con una nuova luce e nuove impressioni, siamo dentro ad un supermercato.

Quali sono state le esperienze dei bambino di due anni? Il viso in avanti, legato al carrozzino in modo da non poter quasi rivolgersi alla madre, il bambino è assalito da una valanga di impressioni, da colori, forme di corpi saettanti che lasciano una scia di gas di scarico, da luci e riflessi, da odori, rumori e stimoli di ogni genere che la coscienza non riesce ancora ad elaborare, da cui l’anima non riesce a difendersi. Un sovraccarico di esperienze si riversa nella sorgente dell’anima, ma si tratta soltanto di frammenti, di pezzi staccati, di qualcosa che fa paura, che non si schiarisce, né può giungere alla comprensione.

Una immagine polare: una indiana che cammina per le vie dei popoloso Messico. Mentre procede essa tiene nel suo “rebozzo”, la grande sciarpa colorata, il proprio bimbo con il viso rivolto verso di lei per poterlo allattare, sebbene abbia già due anni. Nota lo sguardo incuriosito di un passante e con un rapido gesto copre con la sciarpa il viso dei bimbo. La donna non copre la nudità, ma protegge l’essere dei piccolo uomo, lo protegge dallo “sguardo cattivo” che potrebbe colpirlo. Che cosa ha sperimentato il bambino? Il ritmo cullante della madre che cammina, il calore dei suo corpo, la sua vicinanza, l’odore, la voce che dà fiducia, poi il seno materno, la delicatezza delle mani, l’ombra della sciarpa invece della curiosità invadente di un estraneo. Il carrozzino sportivo nel quale il bambino non è rivolto verso la madre, non è seduto verso colei che può sorridergli, incoraggiarlo, richiamarlo amichevolmente, ma nel quale viene spinto nel mare spumeggiante delle impressioni sensorie come fosse un frangiflutti, tagliato fuori dal con tatto con l’essere umano con il quale c’è un legame affettivo, tutto questo è veramente un simbolo per il perduto istinto di come trattare i bambini. Il “rebozzo” e il bambino legato sulla schiena della madre anche durante i lavori domestici e persino agricoli, sono come un sogno dei reciproco legame esistente fra madre e bambino, un sogno ormai svanito.

In questo modo non possiamo più, né vogliamo più procedere. Come allora? Pubblicazioni divulgative ricche di consigli per genitori e inserzioni pubblicitarie intessute in ogni parte dei testo di una ricca offerta dei mercato in campo medico, pedagogico, alimentare e vestiario, la pubblicità di giochi e giocattoli educativi; l’indice alzato degli psicologi, degli psicoterapeuti e assistenti, ci mostrano come si sentano impreparati genitori ed educatori, nonostante il grande amore, nei confronti dei bambini. Diviene sempre più frequente e assillante la domanda: come imparo ad amare il mio bambino? Come trovo un vero rapporto con lui? 1l bambino, un essere sconosciuto” si ritrova come tema in molti titoli di articoli e libri orientativi, ma di fronte a coloro che si presentano come competenti nel settore si ha o la critica più severa o l’esaltazione cieca. Devo sollecitare nel bambino i desideri, lasciare 1ibero sfogo” alla volontà, portare a coscienza le esperienze? Devo dare delle regole, devo costringere all’ubbidienza, dare castighi? E’ il bambino un adulto in miniatura, sciocco, impreparato, che va portato quanto prima ad essere quello che sono io, a pensare come gli adulti? forse la dimensione dell’infanzia in sé compiuta e più vicina all’umanità di quanto non lo siamo noi adulti, ormai specializzati nelle nostre prospettive, nei nostri ruoli, professioni, condizioni sociali e di vita?

“Dottrine confuse per un’azione confusa, dominano nel mondo” scrisse Goethe cinque giorni prima della sua morte a Wilhelm von Humbold. La fantasia creativa e pregna di pensieri dei vegliardo percepiva quelle forze di pensiero che avrebbero portato nell’epoca della tecnica, della rivoluzione industriale, dei diffondersi dei materialismo. Pensieri che si rivolgevano in modo sempre più unilaterale alla materia terrestre quale unica realtà quale occasione di uno sfruttamento della terra stessa, aprendo un baratro fra spirito e intelletto.
Nell’attuale disorientamento nei confronti della educazione, ritroviamo uno specchio fedele di questo sviluppo: gli uni vedono nell’ereditarietà fisica l’elemento determinante per l’uomo, per cui l’educazione significa una protezione nei confronti delle disposizioni e delle doti ereditarie, gli altri vedono nell’ambiente sociale e psicologico il segreto delle doti umane, il momento determinante e significativo che porta l’uomo a divenire quello che è a partire dalle condizioni sociali dell’ambiente.
L’ondata dell’apprendimento precoce, della sopravvalutazione dell’intelletto, della “dimensione cognitiva”, dell’istruzione prescolare, invase in ogni ambito il mondo dei bambini quando, dopo la metà di questo secolo, l’opinione pubblica si era accorta di questa verità parziale.

Entrambe le posizioni sono vere soltanto parzialmente, sia l’idea dell’importanza dell’ambiente, sia quella della ereditarietà. Esiste però ancora un terzo elemento! Una immagine globale della natura umana, immagine che non è completa se oltre alle disposizioni corporee e alle doti animiche, legate più all’ereditarietà le prime e all’ambiente circostante le seconde, non si scorge, intessuta nelle due “verità parziali”, l’individualità spirituale, l’io quale portatore dei destino. L’essere umano si incarna” nella corporeità ereditata come in un “modello” che va adattato alle esigenze individuali, così da essere uno strumento docile.

Quando cominciano a svilupparsi i denti individuali prendendo il posto delle perle di dentini da latte, questa prima fase mostra l’inizio della sua fine. Contemporaneamente si modifica la struttura della memoria e della coscienza, il bambino può produrre volontariamente delle rappresentazioni, si può ora appellarsi alle sue capacità mnemoniche senza danni per il suo sistema nervoso, il bambino è maturo per andare a scuola.Durante questa prima fase che abbraccia circa sette anni si “incarna” anche il carattere animico, dall’ambiente umano si sviluppano certe doti a cui viene offerta occasione di manifestarsi e la cosa si riflette fin nella configurazione dei cervello, degli organi della digestione, della circolazione sanguigna, delle secrezioni ghiandolari.

Il significato della educazione nel primo settennio sta nel fatto che tutti gli influssi che penetrano nel bambino, che tutte le sue percezioni formano delle premesse che configurano la corporeità, che formano gli organi umani, diventando in questo modo la premessa per situazioni di salute o malattia della corporeità e dell’anima. Come acquisisce il bambino le sue doti, come si inserisce nel mondo? Quale essere dotato di io esso è di natura portato all’azione, all’attività. Movimento, gesto, azione sono la forza con la quale il bambino si congiunge con il mondo.

Insegnamento operativo, imitazione, incarnazione della volontà sono i compiti che il bambino realizza quando gioca con fantasia attiva e dedizione. Possibilità di movimento, trasformazione di ogni esperienza di vita in gioco creativo, sono il compimento della sua esistenza, paragonabili all’impegno entusiastico con il quale un adulto svolge una professione amata e sensata. Educazione significa trasformare la gioia di giocare in gioia di lavorare, in amore per un lavoro responsabile, significa accompagnare questa metamorfosi.

Nel secondo settennio, durante il quale si ha ancora un lavoro nei confronti della crescita e della definitiva differenziazione sessuale, si ha la trasformazione della forza di imitazione e dei gioco pieno di fantasia nella gioia di imparare e nell’amore per il proprio lavoro. Quando la scuola e gli educatori possono curare questa gioia e questo amore, allora si formano gli organi animici capaci di sviluppare interesse, rispetto per l’azione altrui, partecipazione interiore al proprio operare, prima ancora che questa “capacità di amare”, ancora vasta, trasformi con la maturazione sessuale la corporeità. In questo caso l’amore per l’altro sesso diviene soltanto una parte di un più grande amore per l’azione e per gli uomini, abbiamo in altre parole preparato il terreno per superare poi il periodo della crisi puberale. Il successivo passo evolutivo attraverso il terzo settennio può così compiersi in salute spirituale, il giovane potrà sperimentare la libertà della autodeterminazione nella capacità di giudizio che ora va maturando, nel destarsi di fronte ai compiti sociali. Come un tempo nel gioco, ora si prendono iniziative e responsabilità là dove si scorgono dei compiti nell’ambito sociale, scientifico o di altro genere per dare il proprio contributo al progresso.La scelta della professione e dei proprio partner, i progetti nei confronti della vita e degli ideali si possono così collegare a delle decisioni dell’io.La maturazione scolastica, sessuale, sociale si susseguono come una scala di una rinnovata nascita, l’io che diviene sempre più consapevole di sé si manifesta nella corporeità, nell’anima e nello spirito dell’uomo.

Le forze creative per un percorso che può sembrare ideale attraverso le tappe educative, giacciono nell’infanzia e nella giovinezza. La sfera animica e quella dell’essere sono ancora intessute e come incantate nella corporeità, durante il primo settennio. Il problema che si pone è di vedere se noi ci comportiamo in modo tale che il bambino che ci imita può ergersi degnamente alla dimensione umana appoggiandosi a noi. Chiaramente la cosa ci riesce soltanto in misura limitata. Per questo l’appello che non ci abbandona mai come educatori è un appello alla autoeducazione. E l’anelito inespresso di ogni bambino, anzi la sua attesa piena di fiducia sta proprio nel fatto di incontrare sulla via verso il ritrovamento di se stesso la bontà e l’altruismo.

Quanto maggiormente il bambino sperimenterà nel nostro comportamento e nell’ambiente queste qualità, tanto più sano e robusto nella sua volontà egli si svilupperà, procedendo verso la realizzazione di se stesso e dei suoi futuri compiti sociali. Dato che questo percorso attraversa delle trasformazioni e delle evoluzioni, ogni anticipazione porta al contrario di ciò che forse con buone intenzioni si voleva raggiungere: se la mèta dell’uomo divenuto maggiorenne è la libertà nell’autodeterminazione, allora la critica sviluppata precocemente e la precoce autodeterminazione distrugge le forze che ancora devono destarsi per usare il giudizio e per raggiungere la libertà.Se si vuole raggiungere un giusto rapporto dell’uomo che ama con la sfera sessuale, per toccare un tema di attualità, allora non si deve richiamare precocemente lo stimolo della sfera sessuale. Se l’intelligenza deve svilupparsi in modo vivente e creativo, allora non si deve richiedere una presa di coscienza e un appello alla memoria in una età nella quale il cervello non ha ancora raggiunto la sua piena configurazione organica e nella quale la molteplicità di esperienze non danno ancora la base per un giudizio autonomo.
Abbiamo bisogno di una scienza dell’uomo che ci dischiuda le vere esigenze che il bambino ci pone, infatti nel bambino abbiamo davanti a noi quotidianamente l’enigma uomo, assetato di amore, ripieno di fiducia, ricco di aspettative.Una scienza che sia insieme biologia e psicologia e conoscenza dello spirito, e che non faccia di una verità parziale l’elemento globale della natura umana, una scienza che insieme al conoscere suscita anche amore. L ‘antropologia di Rudolf Steiner, posta alla radice della pedagogia steineriana, è una occasione in questa direzione, questo orientamento pedagogico è il risultato di una percezione piena di devozione della natura corporea, animica e spirituale del bambino, nel tentativo di un rinnovamento culturale dei fondamenti del rapporto dell’educatore e dell’adulto con il mondo dell’infanzia.

L’anno 1979 è stato dichiarato “anno del bambino”, si sono richiamati i “diritti dei bambino”, il diritto ad uno spazio vitale, alla sicurezza sociale, all’alimentazione, all’educazione, ai gioco, alla protezione dalle discriminazioni razziali, e così via, ma la cosa più importante da fare è certamente un radicale cambiamento nell’atteggiamento dell’adulto nei confronti del bambino. Nella “dichiarazione dei diritti del bambino” proclamata nella 841ma seduta dell’ONU dei 1959, si parla ancora di una particolare protezione di cui il bambino ha necessità per via “della sua immaturità corporea e spirituale”. Ma la cosa non va posta in questi termini!Infatti la maturità scolastica, la maturità sessuale e quella professionale devono alla fine essere coronate dalla maturità nei confronti dell’inserimento nella vita economica, della cosiddetta “vita”, quale membro utile per la comunità? Dovremmo cambiare atteggiamento e non considerare il bambino come un adulto immaturo, bensì vederlo come uomo completo, come individualità che non ha ancora specializzato la sua natura umana secondo professione o sesso, secondo doti e capacità più o meno utili. Dobbiamo in fondo domandarci di che natura sia il mondo dal quale il bambino discende verso di noi sulla terra. Dobbiamo chiederci se le nostre abitudini di vita, i nostri televisori, le nostre città, le nostre automobili, la nostra vita sociale, tutta la nostra cultura, se noi stessi siamo “maturi” ad accogliere in questo mondo il principio umano, la natura umana. L’essere uomo può essere afferrato dal bambino soltanto a contatto con l’altro uomo, questo abbiamo affermato.
Non è forse giunto il momento di capovolgere questa frase e dire: adulti, imparate ad essere uomini a contatto con i bambini! Dal mondo dal quale proviene un bambino potremmo imparare devozione, avremmo un motivo per sforzarci a rispondere alla sua fiducia con altruismo, alla sua esigenza di amore con disposizione al sacrificio, alla sua fame di imparare con un proprio anelito spirituale. Le forze creative, le forze che spingono ai gioco e alla attività, ci solleciterebbero ad esercitare delle attività artistiche, a lasciare spazio nella nostra vita a dei momenti di calma e di riflessione. Una educazione non sarebbe pensabile senza una autoeducazione dell’educatore.Sorgerebbe anche l’esigenza di ritrovare il senso delle festività nei corso dell’anno, dell’alternarsi delle stagioni, di un sano rapporto con la natura (non solo per sfruttarla), cosi da poter ritrovare un originario collegamento con il mondo divino spirituale.

La nostra vita familiare, le nostre città, il nostro atteggiamento sociale sarebbero diversi se volessimo veramente rispondere nel giusto modo a quella parte della natura umana che vive nel paese dell’infanzia, presente ovunque, se fossimo disponibili ad imparare con i bambini fiduciosi e imitatori a vivere la vera dimensione umana. Nelle preoccupazioni della società del massimo rendimento e di una cultura affannosa, risuona ai nostri sensi un richiamo giovannita metamorfosato: impariamo ad essere uomini a contatto con i bambini, con i bambini vi viene incontro sulla terra, si avvicina e vuole diventare vita il mondo spirituale, il mondo divino.

Se abbiamo orecchie per questo richiamo può lentamente maturare una nuova cultura, un nuovo atteggiamento nella vita economica e sociale.