Scuola e mondo del lavoro

Riportiamo uno stralcio da un articolo apparso sul bollettino scolastico di Wetzikon concernente la conversazione tenuta dal sig. Udo Herrmannstorfer con gli allievi delle scuole superiori, in Svizzera.

 

Udo Herrmanstorfer è conosciuto a livello internazionale come consulente aziendale e orientatore professionale, nonché responsabile dell’Istituto di Ricerca per un’Economia e una Socialità al passo con i tempi.

Cari allievi delle superiori. Non è facile rispondere alla domande: “cosa devo imparare?” “cosa voglio diventare?” E, in fondo, è un’unica domanda: “come posso imparare quello che mi servirà per affrontare i miei futuri compiti ?”

Vorrei raccontarvi, per chiarire meglio, una storia molto conosciuta: c’era una volta un tale che voleva sapere che differenza ci fosse fra cielo e inferno. Un diavolo lo accompagnò all’inferno: c’erano delle enormi scodelle piene fino all’orlo di minestra con attorno, sedute, le anime dannate, ognuna con in mano un cucchiaio con un manico lungo due metri. Si sentiva brontolare e imprecare. Erano tutti esausti e stavano per morire di fame perché, malgrado gli sforzi, non riuscivano ad avvicinare il cucchiaio alla bocca. L’uomo venne poi condotto in cielo. La scena era la stessa: scodelle piene fino all’orlo di minestra, anime attorno con in mano cucchiai dal manico lungo due metri. Ma invece di disperazione, sazietà e benessere: si imboccavano a vicenda!

Nell’economia vale lo stesso principio. Nessuno vive di quello che produce personalmente, nemmeno il contadino. Nel diciannovesimo secolo il 90% della popolazione svizzera era contadina. Si possedeva una fattoria per poterne vivere. Nel 1997 in Svizzera i contadini erano scesi al 4% della popolazione: un contadino ogni 25 abitanti. Un contadino lavora quindi per altre 24 persone. Ma solo il 50% delle persone sono attive nel mondo del lavoro. Vuol dire che ogni contadino lavora per 48 persone. Ma il campo di produzione é inferiore al 50% della popolazione attiva e quindi il contadino lavora per altre 100 persone.Oggi dunque nemmeno i contadini, pur continuando a consumare i loro prodotti, lavorano solo per se stessi.

Una segretaria può vivere delle lettere che scrive o un meccanico di automobili delle viti che stringe? Nel mondo del lavoro ognuno lavora per gli altri. Quello che consumiamo viene totalmente dagli altri. Dipendiamo uno dall’altro. Parliamo allora di suddivisione del lavoro e quindi, se vogliamo essere obiettivi di fraternità.

Se volete diventare economicamente indipendenti, per prima cosa dovete chiedervi: di cosa hanno bisogno gli altri? Dovete pensare agli altri. Se quello che fate non interessa nessuno, é un hobby, non un lavoro.

Ma la fraternità é qualcosa di esclusivamente sentimentale? Che cosa libera o rispettivamente rende possibile?

Specializzazione, flessibilità e quindi processi aperti, dipendenza: la socialità si estende. Sono corresponsabile per il mondo intero. Tutto quello che succede nel mondo ha un senso anche per noi, qui in Svizzera. Se in Messico c’é una crisi valutaria, qui da noi il corso delle borse vacilla. E’ una manifestazione dello sviluppo.

Ma che rapporto c’é con la scelta della professione?

Com’era la scelta della professione 150 anni fa? Il figlio intraprendeva la stessa professione di suo padre. La vita aveva già una sua traccia. Se oggi vi si chiedesse se vorreste avere lo stesso aspetto dei vostri genitori, vi mettereste a ridere. Oggi siete liberi di non seguire le orme dei vostri genitori, siete liberi di scegliere la vostra professione. Ci sono un sacco di possibilità, qualche volta per la disperazione dei genitori. Può esserci un padre che costruisce un’impresa con la speranza che suo figlio ne continui l’attività e quello invece diventa euritmista. Oppure ci sono dei genitori che hanno costruito una bella casa in campagna, ma nessun figlio vuole andarci a vivere. La scelta della professione é conseguenza di questa nuova apertura che se da un lato è espressione di libertà, dall’altro crea insicurezza perché la domanda della scelta della professione non racchiude più automaticamente una risposta.

Vediamo un altro aspetto. Come consumatori che vantaggi abbiamo dalla suddivisione del lavoro? Dove porta la specializzazione? In primo luogo ad una quantità incredibile di prodotti che non saremmo in grado di produrre personalmente e che lo sviluppo della produzione ha differenziato in maniera incredibile. Poi ad una grande professionalità e qualità dei prodotti e dei servizi. E in terzo luogo alla totale individualizzazione delle condizioni e dello stile di vita. Una volta le condizioni di vita erano, nelle varie regioni, molto simili. Se mangiavate in una cucina della campagna zurighese, sapevate come erano fatte e come si mangiava in tutte le cucine della campagna zurighese. Oggi coesistono i più diversi modi di vivere. Oggi, quando invitate qualcuno, cucinate magari indonesiano. Questa individualizzazione spinta tocca sia lo stile di vita che la domanda della professione.

Cosa vuol dire specializzazione? L’uomo é fatto di molte sfaccettature. Ma ogni uomo capisce qualcosa solo di poche cose. Quindi, se non capisco niente di televisioni e cerco di aggiustarne una, é facile che io la rompa. Ma cosa succederebbe se tutti fossero solo specialisti? Si andrebbe verso l’unilateralità e la perdita degli altri lati e delle altre capacità dell’uomo. Si andrebbe verso l’impoverimento dell’essere umano. Gli specialisti fra di ,oro non si capiscono. Mio figlio studia fisica teorica. Se parlo di fisica con lui, quasi subito mi dice: “Non ne hai la più pallida idea, é meglio se stai zitto!” Ma non possiamo fare a meno della specializzazione, perché la vita lavorativa la richiede. Ma non dobbiamo nemmeno lasciar morire gli altri lati e le capacità proprie dell’uomo.

Che rapporto hanno tutte le diverse materie scolastiche con la specializza-zione? Vi sarete certamente già chiesti a cosa servano certe materie scolastiche e cosa ne possiate fare in futuro. Ma la domanda é diversa: come si può stabilire prima quello che potrà o non potrà servire poi? Una formazione ampia dell’uomo é la premessa per una formazione specialistica La scuola deve essere universale in modo che gli uomini possano specializzarsi senza danno. E’ un paradosso: formazione generale come premessa alla specializzazione.

La sensazione di inutilità di quello che si impara a scuola in relazione a quanto specificamente richiesto dalla futura professione, é giustificata. Ma alla base, prima della specializzazione, c’è l’essere umano. Quello che chiamiamo cultura generale é quello che lega gli uomini. La specializzazio-ne li divide. La sensazione di inutilità rispetto a certe materie é assoluta-mente necessaria.

Mettere l’utilità al primo posto vorrebbe dire imparare solo quello che servirà in futuro. Vorrebbe dire stabilire in anticipo quello che si vorrà fare più tardi: una massiccia limitazione della libertà.

Qualche tempo fa ho sentito un imprenditore chiedersi se voleva davvero personale formato. Il personale formato é scomodo, fa domande.

Su questo tema ci sono due buoni libri, scritti qualche tempo fa, ma molto attuali: “1984” di George Orwell e “Brave New World” di Aldous Huxley. Quest’ultimo descrive un mondo in cui gli uomini vengono specializzati fin dalla nascita. Attraverso una procreazione fatta con un alambicco, si ottengono uomini alfa o beta. E’ l’immagine di esseri umani visti come specialisti e non come uomini.

E nella vita pratica com’è? Osserviamo la domanda della scelta della professione: se una volta mio padre era contadino, sarei diventato anch’io contadino. Un tempo un falegname restava falegname tutta la vita. E oggi? Oggi le professioni che durano tutta la vita sono sempre meno. I sociologi oggi dicono che l’uomo ha bisogno di sette professioni, come la buccia delle cipolle. E anche il falegname oggi fa qualcosa di diverso. Il più delle volte é programmatore e guida le macchine. La macchina é il falegname: da un lato entrano tronchi d’albero e dall’altro lato escono travi finite, segate, piallate e incollate. Con l’avvento dell’elettronica le professioni sono cambiate radicalmente.

Un altro esempio: la contabilità. Un tempo la contabilità veniva scritta a mano in grossi libri. Un lavoro enorme che aveva bisogno di molti passaggi e di molti impiegati. Oggi viene fatto tutto da una sola persona con il computer. Sono processi completamente diversi. Tutto é collegato in rete.

Un ultimo esempio: le assicurazioni. Per ogni danno veniva compilata una scheda. Questo implicava una registrazione del danno. Questo era il lavoro del 30% degli impiegati. Che qualifica era necessaria per stilare questi atti? Bisognava essere veloci, alti, saper leggere i numeri e non contraddire. Era un lavoro “attrattivo”, sicuro e ben pagato. Tutte queste schede sono ora sostituite da un unico documento elaborato dal computer e su 200 impiegati 40 sono rimasti disoccupati e hanno dovuto seguire una nuova formazione.

Cosa succede quindi oggi nel mondo del lavoro?

Le professioni si modificano in continuazione. Non ha più senso parlare delle professioni col significato che avevano una volta. Il tempo medio di validità delle conoscenze di una professione é di cinque anni. Dopo cinque anni la metà delle conoscenze é invecchiata. Questo crea una contraddizione: da un lato é necessaria una specializzazione e dall’altro le conoscenze specialistiche invecchiano molto rapidamente. Questo significa che bisogna crescere insieme. Se tutto cambia così rapidamente, che senso ha imparare già durante la scuola specifiche conoscenze professionali che si rivelano subito invecchiate?

Se oggi si chiede ad un responsabile del personale: “cosa devo imparare? Cosa potrà volere da me? ” La sua risposta sarebbe: “nessun contenuto, quelli invecchiano comunque. Non impari niente di particolare, da noi dovrebbe ricominciare comunque da capo. Meglio non imparare niente” piuttosto che qualcosa di sbagliato. Le conoscenze concrete necessarie al lavoro, le imparerà da noi “on the job”. Ha bisogno conoscenze di base, qualifiche chiave”.

Cosa sono le conoscenze di base? (risposta di un allievo: informatica) L’informatica é una specializzazione o una qualifica di base? L’informatica contiene degli elementi della qualifica di base. Il nostro mondo é un mondo di computer. Ma a scuola non é necessario imparare l’informatica fino a possedere i programmi di applicazione e la programmazione. Capire cosa fa un computer é una qualifica di base derivata. L’informatica é un mezzo. Le reali qualifiche di base stanno in questo mezzo. Cosa sono le qualifiche chiave? (Risposte degli allievi)

* Multilateralità. Cosa posso ancora fare in futuro? Questo stabilisce opzioni di vita.

* Capacità di apprendimento. L’uscita dalla scuola non vuol dire aver finito. E’ come essere maggiorenne. Essere maggiorenne vuol dire essere in grado di saper trovare le risposte della propria vita da soli e non sapere già tutto.

* Essere svegli. Questo é interesse. Non vi é niente di peggio dell’indifferenza del ” e allora?”

* Capacità di sopportare carichi. Va insieme alla salute, del corpo e dell’anima.

* Coscienza delle proprie capacità. E’ legata alla competenza. Se so fare qualcosa, questo mi dà coscienza delle mie capacità. E’ legato però anche alla mia capacità di imparare, al mio modo di reagire ai cambiamenti, se li subisco come imposizione o li accetto come sfida. E’ la domanda del vedere le opportunità di una crisi . Nella scrittura cinese é lo stesso ideogramma. Gli americani usano la parola “challenge”. “What’s your challenge?” vuol dire: “cosa vuoi diventare?”

* Capacità di lavorare in gruppo. Finora bastava saper fare qualcosa. Oggi chi lavora ancora da solo? E’ tutto lavoro di gruppo. La domanda é: a chi viene attribuito il successo di un gruppo? Io ho avuto l’idea, il gruppo ha avuto successo. Sono pronto ad aprirmi, a dare? i é una differenza fondamentale tra lavorare da soli e in gruppo. Cosa ci vuole? Aver riguardo, comunicare con gli altri, avere una visione del tutto, aver interesse per gli altri, esser disposti ad aiutare. Dove lo si impara? Sono domande di conoscenze? Qualifiche chiave non sono domande di conoscenza. Si tratta dei contenuti, di capacità che non hanno a che fare con la osa in se.Manca però ancora una qualifica chiave molto importante. (Risposte egli allievi).

* Gioia di vivere. E’ importante anche questo. E’ una premessa per la salute.

* Coscienza delle responsabilità. Responsabilità vuol dire dare risposte. La premessa é capire l’altro.

Ma manca sempre ancora una delle più importanti qualifiche base.

* Creatività. Fantasia. Innovazione. Tutte queste cose richiedono cambiamento. Come si impara la creatività? La creatività ha una condizione molto particolare: bisogna essere attivi. Bisogna occuparsi internamente ed esternamente. Prendiamo l’esempio dello “scrivere libero”. Come avete imparato a scrivere? Non lo ricordate più. Quando si é in grado di scrivere una poesia? Quando si é dimenticato come si é imparato a scrivere. Sarebbe faticoso se, scrivendo una poesia, doveste pensare a come si scrivono le singole lettere. Impossibile. La creatività non si può affrontare direttamente e imparare. Ci vuole un mezzo, un tramite. Quante materie si fondano sulla creatività? Si possono solo fare cose che rendano l’uomo internamente creativo. L’utilità di una materia nella futura professione é un criterio di veduta corta. Lo scopo non é il contenuto. L’arte a scuola é una strada verso questa qualifica chiave centrale.

Un’altra domanda: da dove viene la gioia di vivere? E’ una domanda importante: riceviamo piacere dal mondo del lavoro? Come facciamo a divertirci nel mondo del lavoro? Voglio darvi un’immagine: immaginate di camminare in una città medioevale in cui si sta costruendo un duomo. Entrate in città da una porta e andate verso il duomo. Ci sono botteghe di artigiani dappertutto. C’é uno scalpellino e gli chiedete cosa fa. Lui risponde: “lo vedi, scolpisco un sasso.” “Ti diverti?” “Certe volte si.” Continuate e chiedete al prossimo scalpellino: “cosa stai facendo?” E quello risponde:” lavoro per guadagnare dei soldi e dar modo alla mia famiglia di vivere”,

Dove sta la motivazione per il lavoro? Il padre va a lavorare. Suo figlio gli chiede: “papà, dove vai?” Lui risponde: “devo andare a lavorare. Qualcuno deve guadagnare il pane”. Che motivazione ha? Perché andiamo a lavorare? Che esigenze abbiamo? Come si fa a far lavorare gli uomini? Con la ricompensa, con lo stipendio? Questo alla lunga non paga. In questo modo nella professione non nasce la gioia di vivere. Questo distrugge l’uomo. Il lavoro non é una questione di stipendio. La domanda é: come riusciamo a separare il lavoro dallo stipendio?

Torniamo alla nostra immagine. Continuate la vostra strada verso il duomo e al terzo scalpellino che siede davanti alla sua officina e scolpisce un sasso ponete la stessa domanda. “Lavoro alla costruzione del duomo” é la sua risposta. Ognuno dei tre scalpellini esteriormente fa la stessa cosa, ma ognuno alla domanda sulla sua attività, sugli scopi e sui motivi dà una risposta diversa: piacere al lavoro il primo, guadagnare il pane il secondo, contributo individuale ad un compito più ampio il terzo.

La domanda della scelta della professione é sempre meno “cosa faccio concretamente?” o “cosa guadagno?”, ma piuttosto “per cosa o per chi lo faccio?” Ci vuole un compito. “A cosa serve? Dove servo? Dove posso inserirmi?” Queste sono le domande importanti. Le domande: “cosa porto con me? Cosa so fare?” sono sempre meno importanti. La crisi della consulenza professionale é legata anche a questo. Non bisogna porre domande dall’interno, ma bisogna farlo dall’esterno, dal mondo. Non é più: “io voglio!”, ma “Qui hanno bisogno di me! Adesso!” Per cui dobbiamo chiederci come dobbiamo parlare del mondo a scuola e in particolare nelle superiori in modo che lo si senta chiamare. Cosa devo imparare per farcela? Ci sono sempre più giovani che dicono: “Voglio fare questa cosa!” e forse non sono i più dotati per farlo.

Qualche volta si sentono giovani della Scuola Steiner chiedere: “devo entrare nell’economia? Preferirei fare qualcosa in campo sociale!” Esiste qualcosa di più sociale dell’economia? E’ fondamentalmente sociale nella sua essenza. Naturalmente nell’economia di mercato é indirettamente sociale. Ci vogliono uomini disposti a cambiarvi qualcosa. Il punto di vista della collaborazione nell’economia deve ancora essere elaborato. In ogni professione bisogna introdurre un pezzetto di umanità. Non semplicemente adattarsi all’esistente. Ci vuole disponibilità al cambiamento, al pensare-nuovo. Questo vi auguro per la vostra scelta professionale e per la vostra futura attività lavorativa.