Cultura di guerra, cultura di pace

di Gino Boriosi

Perché esiste il male ? È pensabile un mondo senza conflitti ? Certamente no, ma è attraverso l’esperienza dolorosa dei conflitti del passato che oggi, nella nostra cultura ci opponiamo a idee come quella della schiavitù o del razzismo. Sono occorsi però secoli di sciagure umane perché si arrivasse a concepire un mondo fatto solo di uomini liberi, senza distinzione di pelle o di religione. L’idea di guerra è tuttora radicata nella nostra esperienza, come qualcosa di ineluttabile : “c’è sempre stata e sempre ci sarà”. Ma non è così. Nella coscienza di un numero sempre crescente di persone sta nascendo un rifiuto di questa idea, che sembra imposta dall’alto. Immaginiamo allora che dall’esperienza negativa della guerra possa nascere un giorno una stabile cultura di pace. Come realizzarla ?
La catena di eventi bellici che ha fatto seguito alla tragedia dell’11 settembre tende a polarizzare nel cuore della gente una contrapposizione tra un occidente, culla della democrazia e di quanto di buono esiste sulla terra, e un mondo islamico, genericamente considerato una minaccia a tutto ciò.
La logica della guerra richiede una falsa semplificazione : da una parte stanno i valori della giustizia, della civiltà e della democrazia ; dall’altra sta quanto di più abbietto e oscuro si possa immaginare : il nemico. Queste valutazioni hanno i loro cantori : non possiamo dire i teorici, perché le analisi fatte da questa gente non reggono ad una più attenta disamina dei fatti.
In realtà si distinguono differenti livelli di coscienza e di intenzioni da entrambe le parti : possiamo infatti dire che l’opinione pubblica, il sentire della gente, in Europa, in America, nelle nazioni arabe sia sovrapponibile all’intenzione bellica dei governi o al desiderio di vendetta, di violenza, di caos del terrorismo ? La vicenda del sequestro delle due volontarie italiane ha suscitato un grande imbarazzo nelle popolazioni di fede islamica, convinte che sì, sia lecita la guerriglia contro l’occupazione americana, ma non il rapimento di donne. Questo semplice distinguo ha portato alla coscienza dell’ occidente anche il fatto ovvio, ma volutamente nascosto, che gli americani non siano proprio considerati dei salvatori. Se Saddam è stato un despota sanguinario, bisogna arrendersi all’evidenza che le bombe di Bush hanno ormai fatto più stragi del precedente regime dittatoriale. È sotto gli occhi di tutti il fatto che l’attacco USA all’Iraq è fondato su argomenti pretestuosi e che le truppe americane si sono macchiate nei confronti degli iracheni di violenze e torture non meno vergognose di quelle del precedente dittatore.
La logica della guerra trascina nella barbarie l’umanità che si considera civile e democratica. Nella vergognosa vicenda del carcere di Abu Ghraib è emerso chiaramente che i detenuti torturati ed umiliati erano nella stragrande maggioranza delinquenti comuni, soprattutto ladruncoli, rastrellati per le strade. Nonostante ciò, in quell’occasione Alberto Gonzales ha cercato di sostenere la doppia menzogna che la tortura è lecita nei confronti dei terroristi, perché, essendo “combattenti illegali” non sono soggetti alla tutela della Convenzione di Ginevra e che, d’altra parte, l’amministrazione Bush “non pratica la tortura e non perdonerà la tortura”.
Gonzales, chi era costui ? Dimenticavo di dire che Alberto Gonzales, al tempo dei misfatti di Abu Ghraib era il consulente legale della Casa Bianca. E ora che ne è di lui ? Pensate sia stato sepolto dalla vergogna ? Beh, in effetti, è stato rimosso dal suo incarico : ora è ministro della Giustizia !! Cioè, l’uomo giusto al posto giusto.
Egli stesso, in un promemoria al presidente Bush ha riconosciuto che la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra nei confronti dei terroristi potrebbe minare la cultura militare statunitense. Del resto, da più parti si è constatato che i torturatori perdono ogni freno morale, fino a comportarsi come gangster(1). Un comportamento del genere infrange tutti i principi su cui si fonda una società che si ritiene civile e crea un’ulteriore radicalizzazione del conflitto.
La stampa ha dato pochissimo rilievo ad un evento clamoroso, cioè al fatto che migliaia di volontari iracheni si siano mossi per andare a respingere l’attacco americano a Falluja, la “città delle moschee”, fatto che non può più essere confuso con una sporadica ribellione, ma che assume le dimensioni di una vera e propria resistenza al nemico, agli americani. Il 31 marzo 2004 quattro statunitensi vengono uccisi, i loro corpi straziati. Nessuno degli iracheni intervistati a Baghdad considera ingiusta l’uccisione degli americani : si tratta di quattro guardie del corpo impegnate a proteggere i convogli della Blackwater, una delle tante imprese private che speculano sulla guerra in Iraq, ma molti commentano che la mutilazione dei corpi è una barbarie, proibita dal Corano, che getterà un’ombra sull’immagine degli iracheni all’estero. Tuttavia, la rappresaglia americana, che impegna il Primo Contingente dei marines, con la copertura di elicotteri e carri armati, si scontra con una acerrima resistenza popolare : sunniti e sciiti ritrovano la loro unità nazionale di fronte al nemico americano. La battaglia di Falluja costa seicento morti agli iracheni e un alto, imprecisato numero di perdite agli americani. Quasi contemporaneamente, gli scontri nella regione di Najaf contrapponevano le truppe della coalizione anglo-americana ai miliziani di Moqtada al Sadr. In quella circostanza, la guerra portata nella città santa degli Sciiti ( come se da noi si sparasse tra le colonne di San Pietro ) è stata considerata una vera e propria occupazione nemica.
Questa verità è trapelata tra le righe delle dichiarazioni delle volontarie di “Un Ponte Per”, all’atto della loro liberazione e ha dato l’avvio ad una commedia all’italiana, trasformando quello che avrebbe dovuto essere un trionfo della nostra diplomazia in un comico avvicendarsi di dichiarazioni e smentite, con le due giovani che ringraziavano un po’ di più le comunità islamiche del governo italiano, schierandosi contro l’occupazione dell’Iraq e, dall’altra parte, gli esponenti di Forza Italia che insinuavano che i discorsi delle due giovani fossero solo dettati da una ” sindrome di Stoccolma ” , cioè da quel particolare legame emotivo che si manifesta tra ostaggi e sequestratori. In realtà, le due ragazze non avevano fatto altro che esprimere ciò che molti italiani già pensavano sull’illegalità della guerra di Bush e di conseguenza, anche dell’intervento italiano. Recentemente, la morte di un aviatore italiano in ricognizione su di un elicottero, ha fatto cadere anche l’ultimo equivoco sul fatto che i nostri militari fossero impegnati unicamente in missioni di pace.
La guerra può essere solo sostenuta da menzogne : il governo deve continuamente mentire per giustificare la follia. Nel faccia a faccia con Kerry a fine settembre 2004, Bush ebbe il coraggio di dire che ora che aveva attaccato l’Iraq, il mondo era più sicuro. Gli Stati Uniti avevano nel frattempo perso più di mille uomini ( 1500 nel marzo 2005 ) e la guerra e gli attentati avevano ucciso migliaia di civili, mentre la guerriglia e il terrorismo non erano mai stati così attivi(2).
Ma non è un caso, nonostante le smentite da entrambe le parti, che i due conflitti, quello iracheno e quello in Cecenia siano deflagrati sulle vie del petrolio. Qui iniziamo a stabilire un punto fermo, in questo marasma di notizie contrastanti : la macchina bellica degli USA non si è mossa in Iraq per combattere il terrorismo, dato che Saddam non possedeva armi né palesi, né nascoste, ma per attuare un disegno politico che mira a rovesciare le dittature medio orientali ( ma solo quelle nemiche ), per sostituirle con regimi democratici sotto l’egida degli Stati Uniti. Questo processo di democratizzazione armata ha come unico obiettivo l’estensione e il miglioramento degli scambi economici(3). Nessuna guerra può sconfiggere il terrorismo, le guerre sono mosse dal desiderio di estendere il proprio potere e la propria supremazia economica.
Per combattere il terrorismo bisogna invece capire come nasce. Bombardare le sue sedi, braccare i suoi capi non serve ad altro, come si è visto, che ad accrescerne la forza.
Tutti noi abbiamo pianto la strage dei bimbi di Beslan. Ma non bisogna dimenticare le migliaia di piccole vittime dei crudeli bombardamenti di Grozny, ordinati da Putin, il quale non ha neppure cercato di mediare coi sequestratori, per tentare di ridurre le dimensioni della strage della scuola di Beslan.
Una storia indicativa a questo riguardo è stata raccontata da Chris Hedges, un giornalista americano, che si era recato nella striscia di Gaza per un reportage dal campo profughi di Khan Younis (4), teatro di continue sanguinose incursioni israeliane, spesso prive di qualsiasi pretesto. Si trovava in un afoso pomeriggio estivo nel misero aggregato di baracche, quando improvvisamente, da un altoparlante montato su di una jeep israeliana, oltre il recinto una voce invitò i bimbi del campo a venire a prendere soldi e cioccolata. Ma la piccola folla di bambini laceri che si era raccolta intorno alla rete fu investita da insulti : ” Figlio di una cagna ! Tua madre è una puttana ! ” Qualche bambino cominciò allora a scagliare pietre contro la jeep dai vetri blindati e fu falciato da raffiche di fucili coi silenziatori.
Più tardi, mentre le madri piangevano i figli morti in quell’assurda carneficina, gli agitatori di Hamas usavano quei corpi straziati come strumento di propaganda, aizzando il corteo funebre alla vendetta : ” Madri di ebrei, vi faremo piangere come le madri dei palestinesi ! ” Tra gli addobbi funebri campeggiavano grandi immagini di Saddam Hussein.
La stessa logica unisce i governi belligeranti e le organizzazioni terroristiche : la causa vale bene qualche migliaio di morti. Ben differente è il sentimento comune dei parenti dei soldati statunitensi caduti nel conflitto, o delle madri dei bimbi palestinesi uccisi per scherno dai militari israeliani. Loro non avranno accesso alle fonti di energia o al potere, a loro sta a cuore una vita pacifica nel rispetto di tutti.
Lungi dallo scoraggiare il terrorismo, la violenza genera odio e l’odio si diffonde, come il vaiolo, come la peste, in entrambi i popoli contendenti. A questo punto hanno buon gioco gli appelli al radicalismo da una parte e dall’altra. Il successo di voci rabbiose come quella della Fallaci ne sono un esempio. Ma in questo modo il conflitto non trova soluzione, sfocia nella guerra di tutti contro tutti : i falchi protestanti statunitensi contro le colombe cattoliche europee, i sunniti contro gli sciiti, i fondamentalisti islamici contro il mondo arabo moderato.
Prima della lunga serie di vessazioni a Khan Younis, contro cui l’esercito israeliano si era più volte accanito con bombardamenti, raid militari e persino coi bulldozer, per abbattere le abitazioni civili, una continua storia di massacri ingiustificati aveva profondamente inciso l’anima del popolo palestinese.
Nel 1982, i militari israeliani aprirono alla soldataglia libanese l’accesso dei due campi profughi di Sabra e Chatila, situati alla periferia di Beirut, fornendo ai massacratori guida e sostegno logistico. Per tre giorni, dal 16 al 18 settembre la popolazione civile fu inseguita casa per casa e letteralmente fatta a pezzi. I resoconti dei pochi giornalisti accorsi il quarto giorno riportano di donne violentate e poi sventrate, di bambini impalati, di uomini appesi a un gancio e poi divisi in due, ” come pecore “. Duemila morti, per lo più ammassati in una fossa comune, presto ricoperta da immondizie, davanti all’ ambasciata del Kuwait. Nessuna inchiesta è stata ordinata, nessuno ha pagato per questi delitti, anzi il regista del massacro, Ariel Sharon è oggi a capo del governo di Israele.
Come abbiamo potuto credere che l’indifferenza occidentale di tutti quei morti, ancor oggi senza la dignità di una lapide potesse restare impunita ?
Quando l’aggressione di Al Qaeda alle Torri Gemelle provocò tremila morti, il mondo occidentale fu scosso dalle spontanee manifestazioni di gioia di alcune popolazioni musulmane. Pochi hanno capito che l’odio genera soltanto altro odio, che la violenza di ogni rappresaglia serve solo a nutrirlo ( la storia di Bush e delle sue guerre è tuttora sotto i nostri occhi ).

La menzogna più facile da far accettare ad un vasto pubblico è quella che accomuna l’Islam al terrorismo. Quando un milanese va in Sicilia per la prima volta è convinto che tutti, dal fruttivendolo al vigile urbano siano mafiosi. Sennonché persino Ayman Zawahiri, l’uomo che ha preso il posto di Bin Laden ai vertici di Al Qaeda, si è recentemente lamentato del fatto che la Jihad islamica ( sostanzialmente il terrorismo ) abbia trovato ben pochi sostenitori tra gli arabi e il progetto di inserire i radicalisti al potere in paesi come l’Algeria, l’Egitto o la Bosnia è totalmente fallito.
Per di più neppure l’equazione arabi = islamici rispecchia la realtà, in quanto tutto il mondo arabo sta subendo un processo di laicizzazione, come è avvenuto in Europa nei confronti del cattolicesimo e ciò rende ridicole le apprensioni di chi teme che gli extracomunitari possano alla fine scardinare i nostri valori e le nostre usanze. Diatribe come quella del crocifisso nelle scuole o del velo delle donne islamiche non sono altro che una perdita di tempo, in quanto, per un naturale processo di assimilazione, le nuove generazioni incominciano ad allontanarsi dai costumi dei padri, per non sentirsi isolate.
Da questi brevi accenni si può intravedere come la guerra possa essere unicamente sostenuta da una cultura che, creando nette contrapposizioni di valori tra noi e l’altro, giustifichi l’orrore dello strazio dei civili, della distruzione di città, di alterazione della morale. Questa cultura non nasce mai dal popolo, ma dai vertici di governo ed è sempre guidata da vasti interessi economici non dichiarati, ma sotto gli occhi di tutti. In opposizione a questa cultura è necessario costruire una cultura di pace, non sostenuta incrociando le braccia, ma sviluppata concretamente attraverso esperienze politiche, umane, economiche alternative.

La cultura della pace

L’orrore suscitato dai massacri ( soprattutto di civili ) che ogni guerra trascina con sé, la palese assurdità di quasi tutti i conflitti recenti, non ultima la guerra in Iraq, mossa da argomenti pretestuosi che si sono rivelati via via sempre più inconsistenti, ha portato molti animi a ricercare una cultura di pace. Questa non si identifica più con il generico pacifismo degli obiettori di coscienza, non è solo il rifiuto passivo di partecipare alla logica della guerra, ma consiste sempre più coscientemente nella ricerca di altre formulazioni, di altre vie per la soluzione dei conflitti.
Un modello indicativo di questa cultura, tutta da inventare, è per molti versi la strategia attraverso la quale Nelson Mandela e Desmond Tutu furono in grado di superare la lacerazione della società sudafricana causata da decenni di Apartheid. Questa storia è particolarmente interessante, perché contrappone a una logica vecchia ( quella della supremazia del più forte, ispirata a puri interessi economici ) una cultura di pace estremamente innovativa.
La scoperta in Sudafrica di ricchi giacimenti diamantiferi aveva condotto, nella prima metà del secolo scorso, all’elaborazione di una politica di separazione ( Apartheid ) della popolazione bianca da quella di colore, allo scopo di salvaguardare gli interessi economici degli afrikaners dalle rivendicazioni sociali della maggioranza di lingua bantu. Questa politica di segregazione razziale si fondava su una pretesa superiorità spirituale dei bianchi, che giustificò per oltre quattro decenni abusi ed ingiustizie nei confronti dei neri. Di fatto, dal 1948, le leggi sull’Apartheid esclusero i non bianchi, cioè oltre il 75 % delle genti sudafricane di allora, dai diritti civili e politici. Gli uomini di colore non avevano diritto di voto, non potevano spostarsi dai propri ghetti, se non muniti di lasciapassare e su mezzi di trasporto per ” non bianchi “, erano vietati i matrimoni misti.

I massacri di Sharpeville nel 1960 e di Soweto nel 1976, ad opera della polizia sudafricana, condussero l’Organizzazione delle Nazioni Unite a condannare e isolare la politica del Sudafrica. A Sharpeville, il 21 marzo 1960, la polizia sudafricana sparò sulla folla inerme, che protestava contro l’obbligo dei lasciapassare, uccidendo 60 persone e ferendone 180, tra cui donne e bambini.

A Soweto, una misera baraccopoli a 24 chilometri da Johannesburg, il 16 giugno del 1976, la polizia aprì il fuoco sulla gente che manifestava contro l’introduzione obbligatoria della lingua Afrikaans nelle scuole dei Bantu. I manifestanti erano in gran parte ragazzi delle scuole : ne furono uccisi 172 e feriti 439. Uno di questi ragazzi, testimone del massacro, descrisse così la scena : ” Aprirono il fuoco senza alcun avvertimento. Aprirono semplicemente il fuoco : proprio così, così. E bambini, piccoli bimbi indifesi, caddero al suolo, come mosche schiacciate. È un assassinio, un assassinio a sangue freddo. ”
Per tutti gli anni ’80 la tensione va crescendo, si formano le squadre della morte, che vanno di casa in casa a uccidere tutti i neri che aderiscono al movimento di liberazione. Si giunge a un passo dalla guerra civile : da entrambe le parti si comprende che occorre trovare una via d’uscita. Nel 1989 il neoeletto presidente De Klerk decide di liberare Mandela.
Quando Nelson Mandela fu scarcerato e De Klerk gli affidò il compito di avviare il processo di soluzione dell’Apartheid, il passaggio dalla dittatura dei bianchi ad un regime democratico esteso alla popolazione di colore avrebbe potuto scatenare vendette e ritorsioni.
Dopo tanti anni di massacri non è possibile dimenticare : i parenti delle vittime non tollererebbero una simile ingiustizia. D’altra parte, un processo stile Norimberga avrebbe acuito la tensione tra gente di colore e afrikaners. La risposta a quarant’anni di prevaricazioni, in nome di una presunta superiorità dei bianchi, viene proprio dal suo opposto, da un canone della spiritualità Nguni : l'”Ubuntu”(5).
L’assunto della cultura bianca dei colonizzatori afrikaner era che i “cafri”, i neri in generale, rappresentassero un vuoto non solo culturale, ma anche umano. Gli Zulu, i Xhosa, i Tswana, gli Indiani, le innumerevoli etnie del Sudafrica, la stragrande maggioranza della popolazione totale, venivano considerate alla stregua degli animali. Questo poteva giustificare non solo il fatto di privare i ” coloured ” di ogni diritto civile, ma persino i crudeli massacri perpetrati senza motivo. La risposta a questa cultura bianca fu l’Ubuntu.
Ubuntu è una parola zulu, che significa “umanità” : il canone fondamentale della filosofia Ubuntu è che ” ogni uomo è uno con tutti gli altri “. Questo semplice assioma è divenuto l’incipit di una silenziosa rivoluzione. Alla base di questa filosofia sta il riconoscimento della nostra appartenenza verticale e orizzontale a tutta l’umanità. Verticale, in quanto noi veniamo al mondo grazie ai nostri avi e a loro dobbiamo la cultura e la spiritualità che ci contraddistingue. Orizzontale, perché noi facciamo parte di tutto l’organismo umano sparso su tutta la terra e la sofferenza di uno solo di noi è la sofferenza di tutti.
Rispetto all’atteggiamento occidentale, che oppone al “diverso” una politica di rifiuto o di relativismo ( ti tollero, ma io comunque sono meglio ), l’Ubuntu rappresenta il confronto attivo, l’impulso a capire, a conoscersi reciprocamente. Non si tratta di tolleranza reciproca, ma dell’interesse umano che sorge nei confronti del “diverso”, in base alla legge fondamentale dell’Ubuntu : ” Ogni uomo è una persona grazie ad altre persone ” (umuntu ngumuntu ngabantu ) . Questo elevato, lungimirante punto di vista spirituale, fondamento anche della dottrina del Buddha e di Confucio, affonda le sue radici nella consapevolezza che ciascuno di noi deve la sua esistenza innanzitutto ad una famiglia di antenati. Da essi noi traiamo la nostra origine fisica, i nostri costumi, le nostre credenze religiose. Inoltre ogni uomo appartiene all’umanità intera come un dito appartiene alla mano e questa a tutto il corpo : ” Noi tutti siamo uno ( simunye ), una lesione a uno di noi è un danno per tutti. ” Nessun gesto nel mondo rimane isolato. L’onda che muove un nodo della rete comunica il suo moto alla rete intera.
Questo getta luce sulla logica della cultura di guerra, che nasce dall’egoismo quasi sempre economico – territoriale di una nazione nei confronti di altri, che vengono percepiti come estranei e quindi inferiori. La cultura della pace deve invece cercare di considerare la spiritualità dell’altro come propria, nella differenziazione di un unico organismo umano. L’economia che ne deriva deve discendere da questi principi, tutelando gli interessi di una nazione o di un’etnia in armonia con tutte le altre. Ciò si oppone allo spirito di competitività occidentale, che vive in maniera esasperata soprattutto nel mondo economico. Nella economia zulu, in armonia con lo spirito dell’Ubuntu, vive l’idea del lavoro di squadra ( shosholoza = lavora come uno ), del capitalismo comunitario. Improntato all’immagine dell’alveare, in cui tutti collaborano al bene di tutti, il modello shosholoza è stato importato in vari paesi, come il Giappone e il Canada, quale fonte di produttività ottimale(6) per le piccole aziende. Lo shosholoza, come “incubatore industriale” ( alveare ) si basa sullo spirito Ubuntu di percezione reciproca in cui ” L’efficienza collettiva può essere conseguita tramite una serie di pratiche organizzative che includono un aumento della cooperazione, della coordinazione e del lavoro di rete tra piccole aziende, in settori specifici in modo che si possano condividere servizi come il marketing, la ricerca e lo sviluppo, l’acquisizione di capacità e persino la produzione. Grazie a questa cooperazione, piccole aziende possono raggiungere, se non superare, i profitti ottenuti da imprese più grandi, senza per questo dover aumentare le proprie dimensioni(7).”
Ogni individuo, quindi, esiste unicamente nella sua relazione con gli altri.
Su questi principi Nelson Mandela e Desmond Tutu organizzarono una commissione che, alla fine del regime dell’Apartheid, giudicasse i crimini commessi dalla polizia sudafricana nei confronti dei neri. I criminali che avevano torturato, stuprato, massacrato dovevano riconoscere i propri misfatti e venivano così in gran parte perdonati e assolti per amnistia. Quella che poteva divenire l’occasione per una immensa guerra civile, fu trasformata invece in una rivoluzionaria esperienza sociale, basata sul perdono.
Rudolf Steiner, alla fine della Grande Guerra, avviò un processo di riforma della società che nello spirito, se non nel contenuto particolarissimo, è molto affine alla cultura dell’Ubuntu, adatta a regolare i rapporti tra gli individui secondo un principio spirituale e non economico : parlando a coloro che diffonderanno l’impulso della triarticolazione, dice che lo stato interiore che deve sostenere questa causa dovrà essere improntato in ogni fase all’amore per l’umanità(8) : ” La vita economica si può formare solo attraverso esseri umani che non orientino i propri pensieri secondo le necessità personali, che coltivino sentimenti per le necessità altrui e imparino da ciò a sentirsi parte dell’umanità. …. La vita economica consiste nella produzione, nella circolazione dei beni e nel consumo. Ma dominare la produzione, dotarla della giusta energia, non spetta alla vita economica. … Il capitale viene messo in circolazione dalla corrente spirituale dell’organismo sociale. Il modo in cui si produce è una questione spirituale…si può valutare l’intensità della produzione, il modo di produrre, soltanto se si hanno a cuore le necessità degli altri “.
Ne ” I punti essenziali della questione sociale ” ( OO 23 ) osserva che la cultura moderna non è più adeguata alla esigenza dei tempi. La prima guerra mondiale che si è appena conclusa ha inutilmente devastato il mondo, lasciando delusi persino i governi che pensavano per mezzo di essa di risolvere i conflitti sociali. Il cinismo dei governanti ha mandato al massacro milioni di giovani, ma il popolo cosa voleva ? Cosa viveva nelle coscienze di chi era al fronte o di chi attendeva a casa ?
Nonostante la propaganda di guerra, che tentava incessantemente di diffondere forti motivazioni alla lotta attraverso la stampa, gli ufficiali e i cappellani militari, nella coscienza dei soldati, costretti ad una logorante guerra di trincea, vivevano solo affetti e pensieri domestici. La lettura delle lettere dal fronte è quanto mai indicativa(9) :
“Qui si mangia bene e da fumare abiamo lire 0,50 centesimi al giorno qui non si sa dove a spendere il denaro perché siamo in mezo ale montagne…Vardè di pregare per me e che presto venga la pacce. ”
“Cara molie e padre sapi che da dopo che sono via non sono mai andato in Chiesa ala Mesa pero voi che potete andare andate anca per me, varda però di non pregare che stae sano, prega sempre che mi male con un male passagiero, altro non ti dico. ”
Il contrasto tra la cinica retorica dei proclami bellici e la voce della gente comune rende bene il divario tra la cultura di guerra e il sentire umano.
Nei programmi politici di allora, come in quelli odierni non vive l’impulso umano, la necessità umana, ma piuttosto, la brama di potere, il demone dell’economia. La convinzione che tutto debba essere in ultima analisi assoggettato alle leggi del profitto viene diffusa dagli organi di informazione, diviene un dogma indiscutibile. Questo dogma mantiene il suo vigore anche oggi, ma la sua attuazione non ha risolto i problemi del lavoro ed ha prosciugato gli animi. Chi è giovane oggi è dominato dalla paura di affrontare la vita ( il lavoro è scarso e precario ) e non vive in sé alcun ideale, se non quello di guadagnare molto, per potersi comprare una bella macchina(10).
In altri termini, la cultura attuale si fonda sulla convinzione che il potere economico possa risolvere tutte le necessità umane. Per poter sconfiggere questa ideologia così diffusa bisogna ricondurre il processo economico nei limiti che gli appartengono. Per i motivi cui accenneremo più avanti, il mondo dell’economia è un mondo subumano. Rudolf Steiner afferma che, quando noi compriamo o vendiamo, scendiamo un po’ sotto il livello umano(11). Il primo passo da compiere è quello di liberare il lavoro umano da quel processo di mercificazione che ha creato oggi un vastissimo disagio sociale : se il lavoro viene considerato una merce, vale tanto meno, quanto più sono le braccia che si offrono.
” La vita economica consiste nella produzione e nel consumo di merci ” – sottolinea Rudolf Steiner – “perciò non è possibile togliere al lavoro umano il carattere di merce, se non si trova la possibilità di svincolarlo dal processo economico “.
Questa concezione del lavoro, accettata tacitamente da tutte le componenti politiche, porta forze subumane nella vita sociale, creando disagio e disorientamento spirituale. La società umana diretta da criteri economici si avvia verso un inarrestabile degrado.
Oggi questo processo è stato spinto fino alle estreme conseguenze, spostando la produzione nei paesi poveri, ove la mano d’opera è a basso costo, e riservando all’Occidente la creazione delle illusioni, come la pubblicità e la moltiplicazione fittizia del denaro tramite le alchimie del ” settore terziario “. La nostra cultura è dominata dall’economia : si persegue l’ideale di amministrare le scuole, gli ospedali con criteri aziendali, basati sul profitto.
L’armonia innovativa dello spirito Ubuntu e della Tripartizione sociale di Rudolf Steiner ha condotto alla realizzazione di una comunità sudafricana a 25 chilometri a est di Pretoria, con una scuola Waldorf frequentata da bianchi e neri assieme, un centro di avviamento al lavoro, un’azienda agricola biodinamica di 350 ettari, con 1500 animali.

Sembra una cosa di poco conto, ma è da piccoli semi come questo che oggi in Sudafrica si sperimenta una via alternativa allo spirito razzista dell’Apartheid e si è potuto scongiurare il pericolo di una guerra civile. È coltivando questi piccoli semi, in cui la vita economica è ricondotta nei suoi limiti, che si può fondare una cultura della pace.

All’origine dei conflitti bellici, invece, sta sempre lo strapotere dell’economia : l’idea dello storico statunitense, Michael Ignatieff, direttore del Centro per i diritti umani ad Harvard, che convenga esportare democrazia, perché le nazioni democratiche non si fanno guerre tra loro(12) non sta in piedi e vale semmai per le democrazie moderne, in quanto queste hanno spostato la guerra sul piano economico.

Inoltre non ci sono mai stati conflitti tra USA e Russia o tra USA e Cina.
In realtà è vero il contrario : le superpotenze, come Stati Uniti e Russia hanno bisogno, per far prosperare la loro economia, di “pacificare” il medio oriente installando governi moderati sui quali esercitare una sorta di protettorato, ma questo fine viene perseguito, in Iraq come in Cecenia, senza tener conto della libera volontà delle complesse etnie che vi abitano. Un regime democratico può svilupparsi soltanto da un accordo consapevole delle parti sociali, non può essere imposto dall’esterno.
La possibilità di uscire da questa logica, che nella continua ricerca di fonti di energia, è alla base dei conflitti nel mondo, sta nel separare la vita economica da quella culturale e dalla gestione dello stato. A questo scopo Rudolf Steiner propone una divisione dell’organismo sociale in tre distinte direzioni :
– vita spirituale, culturale
– vita politica, giuridica, statale
– vita economica
In uno stato sociale sano,i tre ambiti devono restare indipendenti, come in un organismo corporeo i processi della testa, del torace e dell’addome. Noi tutti sappiamo quali disastri può causare alla salute il prevalere dei desideri della pancia sulla nostra testa.
Allo stesso modo, nella vita spirituale agisce un principio individuale, espressione dell’Io, che non deve essere influenzato da intenzioni economiche. La pubblicità non deve interferire con le mie scelte di vita, in quanto questo non solo conduce allo spreco e al consumismo, ma insinua nella coscienza modelli di comportamento che non provengono da una mia libera scelta. La vita spirituale richiede perciò una coscienza desta.
Diversamente, nella vita politica, giuridica, statale io devo regolare i miei rapporti con gli altri esseri umani e dipendo da una coscienza collettiva, che quindi non domino completamente. Le scelte che opero in questo ambito, nello stringere amicizie o alleanze, sono interessate da una sfumatura di sentimento, si muovono in un livello di coscienza paragonabile a quello di sogno.
Nella vita economica i bisogni del singolo possono essere soddisfatti solo da altri e richiedono un atteggiamento ancora più profondo di fiducia sociale. Nessuno può dominare con la coscienza il complesso di tutti i processi economici, nella loro attuazione ci muoviamo in un ambito simile a quello del sonno : basta pensare alle conseguenze dei nostri depositi bancari, che possono a nostra insaputa finanziare fabbriche di armi o di mine antiuomo. L’accumulo del capitale deve sempre essere pensato come un mezzo, in quanto se viene visto come un fine, il denaro assume una logica autonoma, disgiunta da quella umana.
La vita economica deve occuparsi unicamente di processi di produzione e di scambio, il lavoro umano non deve essere regolato dalle forze dell’economia. Il governo dello stato deve essere separato dalla vita economica : ciò che regola giuridicamente i rapporti tra uomo e uomo non può essere soggetto a leggi economiche : in una società regolata dalla tripartizione non possono esistere ” conflitti d’interessi “. Oggi persino le esigenze economiche delle piccole e medie industrie del Nord Italia possono influenzare il governo fino a creare sconvolgimenti nella amministrazione statale. Come si è detto, gli ospedali, le scuole, i centri culturali, i musei, le pinacoteche perseguono ora l’ideale di essere gestiti “come aziende”, confondendo il diritto umano alla salute e all’istruzione, con le esigenze economiche. La gestione “aziendale” di monopoli di stato come le poste, le ferrovie, la produzione di tabacco ha portato più problemi che soluzioni. Allo stesso modo, su scala più vasta, gli interessi delle multinazionali possono essere in contrasto antitetico con quelli dell’umanità : si pensi solo ai milioni di africani lasciati morire di AIDS, per il rifiuto delle Case farmaceutiche di voler concedere loro i farmaci a un prezzo politico.
Il tentativo imperante di organismi come il WTO ( l’Organizzazione Mondiale del Commercio ) di mescolare vita economica e giuridica ( leggi economiche difese da sanzioni ecc. ) porta a crisi di recessione e a conflitti, distruggendo le economie di sussistenza dei paesi poveri e creando disoccupazione ed emigrazione.
L’orientamento puramente economico di ogni ambito della nostra vita ha condotto alla polarizzazione di fazioni politiche più occupate a litigare per il potere, che ad amministrare la cosa pubblica. La vita spirituale è in crisi nelle scuole primarie come nelle università e negli istituti di ricerca. paradossalmente, l’economia stessa, soffocata dall’eccessiva avidità delle multinazionali, è in recessione proprio nei paesi più ricchi.
Oltre all’economia, la molla che scatena sanguinosi conflitti è la gestione egoistica del potere : la contrapposizione di due grandi potenze come la Russia e gli Stati Uniti può soffiare sul fuoco di conflitti etnici, come in Mozambico, causando oltre un milione di morti.
Superare la contrapposizione degli interessi economici non è utopia : può costituire un vantaggio per tutti. È evidente che la strada che porta a una cultura di pace deve trasformare la tendenza alla parcellizzazione economica, creando poco per volta una coscienza collettiva, che vada al di là dei singoli egoismi(13). La spiritualità dell’Ubuntu reca con sé un genuino senso cristico : il nostro io è uno con quello dell’umanità, il danno arrecato a uno di noi è un danno per tutti.
Uno spiraglio di rinnovamento può venire solo da nuove idee sociali che abbraccino i bisogni e le necessità dell’intero complesso della popolazione mondiale. Qualsiasi altra soluzione che non tenga conto del fatto che noi tutti siamo un organismo e che in ogni organismo deve vivere una giustapposizione armonica di funzioni, non può che portare al deterioramento dello spirito e del corpo della Terra. Non si tratta di cercare nuove teorie sociopolitiche, ma di fare l’esperienza concreta della tripartizione sociale. Così nella vita spirituale devo sperimentare la libertà, in quella politica, la fraternità e in quella economica, l’amore. Solo con questa coscienza potremo portare lo spirito del Cristo nella nostra cultura.

1) Ian Burma – Documento del Corriere della Sera del 15/2/04.
2)Sulle menzogne di Bush e della Rice dopo l’11 Settembre, vedi : Nafeez Mossadeq Ahmed – “Guerra alla verità” – Fazi Editore, settembre 2004.
3) Gilles Kepel – Fitna. Laterza, 2004. Uno studio molto attento e documentato di un grande esperto francese, sui rapporti tra il mondo islamico e l’Occidente.
4) Chris Hedges – Il fascino oscuro della guerra. 2004, Laterza.
5) I nativi del Sudafrica possono essere suddivisi in quattro gruppi caratterizzati da lingue e culture differenti: gruppi Nguni (Zulu, Swazi, Xhosa e Ndebele), Sotho Tsonga e Venda.
6) Susan R. Cornforth – How rural women entrepreneurs learn : a Saskatchewan case study. December 14, 2002.
7) Ibidem
8) GA 338 – Wie wirkt man für den Impuls der Dreigliederung des sozialen Organismus ?, I .
9) Storia d’Italia, Vol. VII – a cura di Guidetti – Jaca Book
10) Sul declino di questa ideologia americana basata sull’avere e il sorgere di un pensiero europeo fondato sull’essere, vedi : Jeremy Rifkin – “Il sogno europeo”- Mondatori, 2004.
11) Vedi a questo proposito il breve saggio di Mario Viezzoli : ” Patologia e risanamento sociale “.
12) ” Corriere della sera ” del 24 gennaio 2005.
13) GA 340 – Nationalökonomischer Kurs, 2/8/1922.