Pensieri aforistici sulle bambole

di Anne Schnell

Tratto da Von der Würde des Kindes ed. Bund der Freien Waldorfschulen
Traduzione di Adele Crippa a scopo di studio

Capita spesso che venga trattato – in libri o discussioni, articoli di riviste o gruppi diversi – il seguente problema: come ci liberiamo delle costrizioni e dell’irrigidimento cui viene sottoposta la nostra vita a causa del continuo crescere dell’automatismo e del perfezionismo?
Come ci liberiamo dalla mancanza di comunicazione, dal senso di solitudine? Come andiamo incontro alla freddezza di sentimenti, alla brutalità e alla crudeltà? Come superiamo i molti problemi di rapporto umano?

Come ci proteggiamo dalla morte improvvisa e furtiva? Come è possibile costruire un ponte verso la personalità?

Ai primi di maggio del 1979, nel corso di una trasmissione radiofonica rivolta alle scuole, è stata data la seguente sorprendente risposta alle domande citate sopra e ad altri quesiti sul nostro tempo che più da vicino toccano le giovani generazioni:

“In qualità di adulti o di giovani in cammino di crescita, dovremmo essere in grado di vivere così come il bambino vive nel suo processo di fantasia mentre gioca con la sua bambola”.

Si tratta in verità di una risposta valida e sempre attuale. Tuttavia, per poter comprendere a fondo la verità di questa risposta, è necessario portare luce di conoscenza in alcuni campi della vita, per poter conoscere e sperimentare gli effetti salutari racchiusi in tale frase e la sua vera forza nella pratica di vita.

Rudolf Steiner nella Antrolopogia da lui stesso inaugurata ci ha dato delle indicazioni sulla bambola, l’estetica e la pedagogia. Se lasciamo agire su di noi tali indicazioni, scopriremo che nel nascente contatto tra adulto e bambino tutto ciò che si crea attorno a una bambola, che la madre stessa ha realizzato, può diventare una vera scuola di amore umano e amore di vita. Questo dona al bambino gioia nei rapporti, gioia di vita e nutre le sue forze vitali. Le illustrazioni di Rudolf Steiner culminano con il confronto con la cosiddetta bella bambola e una vera bella bambola.

La prima – che ai suoi tempi sapeva solo parlare e muovere gli occhi e che oggi sa fare molto di più – ha avuto origine dall’idea che ha prodotto anche il robot. La bambola veramente bella, come ci viene descritta da Steiner, è costituita da un pezzo di stoffa annodato; oppure legato in modo che sopra si formi la testa, con occhi, naso e bocca, di cui gli ultimi due non sono indispensabili. Se poi si annodano i due angoli superiori e quelli inferiori, è nata una semplicissima bambola.

Perché Rudolf Steiner parla sempre della bambola in relazione al bambino di due anni e mezzo fino ai cinque anni e della particolare fantasia infantile che si sviluppa in questa età; quella fantasia infantile così vivente e ricca di stimoli, di questa fantasia meravigliosamente delicata e che appena comincia a destarsi?

Per rispondere a questa domanda è necessario parlare del tempo prima della nascita, cioè di un dato di fatto di carattere spirituale che manca nel modo di pensare moderno, come pure manca un termine per definirlo in tutte le lingue civilizzate. Esiste un vocabolo per indicare l’immortalità, mentre è necessario introdurre un altro concetto nella nostra moderna immagine del mondo. Senza tale realtà spirituale, è difficile comprendere anche il concetto di fantasia infantile e della sua forza salutare per tutto il resto della vita.

In un breve testo – Educazione del bambino e preparazione degli educatori – Rudolf Steiner descrive le varie nascite come un divenir libero delle parti costitutive superiori dell’essere umano: corpo eterico o corpo vitale, corpo astrale o corpo senziente, corpo dell’io. Ora accenneremo a queste parti costitutive anche da un altro punto di vista.

Le entità spirituali più alte – in armonia con il cammino che l’individualità umana ha compiuto sulla terra di incarnazione in incarnazione – lavorano, con l’aiuto della corrente ereditaria, intorno al corpo fisico dell’essere che vuole nascere, e questo rispettando anche il destino di tale individualità. Le forze eteriche materne che lo avvolgono, attive nella corrente ereditaria, collaborano a questo lavoro per formare nell’essere le funzioni vitali. Le forze del padre danno l’impulso e pure collaborano a tale funzionamento. Quando il bambino, intorno ai tre anni, dice per la prima volta Io a sé stesso, è il momento in cui si accende in lui la normale coscienza dell’io, legata alla vita terrena. L’io superiore dell’uomo, quale elemento immortale dell’individualità, si ritira nel campo spirituale. Questo io superiore è la guida per tutto ciò che di bene, di prosperità e misura di destino accade fino al terzo anno di età, nell’individualità che si vuole incarnare. Nella vita dell’adulto è spesso un’esperienza consolante avere di nuovo, durante il sonno, l’incontro con la nostra entità superiore e nonostante errori, dubbi e disperazione, iniziare una nuova giornata con nuovo coraggio e forze rinnovate.

L’io del bambino, che procede di incarnazione in incarnazione, è avvolto nel mondo astrale o stellare, nel suo corpo senziente o corpo astrale. Nei suoi sentimenti innati, le abitudini morali o immorali, che in lui si sono impresse, rilucono come una scritta di destino. L’io, cui è legato in simpatia il corpo astrale, portato con sé come una meravigliosa immagine, scende ora a poco a poco nell’atmosfera eterica della terra e si forma – in corrispondenza al destino iscritto nel suo corpo astrale – un successivo involucro, un nuovo corpo eterico. Durante il periodo embrionale, mentre l’essere umano cresce sempre più nel suo corpo fisico, queste configurazioni rimangono attive. Agiscono nel corpo fisico, irraggiano nei suoi organi, li plasmano, e sono completamente attive all’interno dell’organismo fino al secondo, terzo anno di età e lo rimangano, seppur con minore intensità, fino al cambio dei denti.

Allora una parte di esse si libera da questo compito e, come delicatamente estratte dal servizio del corpo fisico, si pongono ora al servizio della memoria e della formazione di concetti e rappresentazioni. Quando il bambino, circa verso i tre anni, può dire io a sé stesso, ha formato in quel momento una rappresentazione del proprio io e ciò accade per questo lento ritirarsi delle forze eteriche dal capo. Quando egli, nel seguente terzo di questo primo settennio (fino verso i cinque anni), sviluppa quella meravigliosa e delicata fantasia che ora si è risvegliata, ciò accade con l’aiuto delle forze eteriche che delicatamente si ritirano dall’organizzazione ritmica del petto. La voce della coscienza, come fantasia morale, inizia a formarsi con il lento ritirarsi delle forze eteriche dal sistema del ricambio o delle membra.

Ora è il momento di chiedersi, dopo che è stata scoperta, nel campo dell’antropologia, la fonte originaria della nascente fantasia del bambino dai due anni e mezzo fino ai cinque anni, c o m e si incontra questa fantasia con la bambola veramente bella, e come è questa bambola?

L’ultima domanda ci porta nel campo dell’arte, dell’estetica come scienza, che tratta l’arte e le sue creazioni e la scienza del bello, come Steiner la chiama e che da lui viene indicata come l’estetica del futuro. Di conseguenza si leva l’interrogativo nascosto se il futuro della bambola veramente bella si sia aperto, dopo che saranno trascorsi cento anni da questa asserzione.

Dapprima è da porre la domanda base di ogni estetica: che cosa conferisce ad un oggetto la caratteristica di bello? La risposta suona così: quando un’artista, o un uomo che possieda senso estetico, riesca a trasformare un materiale fisico – ad esempio marmo, creta, carta o colori, anche stoffa o lana per una bambola – in rapporto a un’idea o a un archetipo divino-spirituale, in modo che tale idea o archetipo giunga a manifestazione senza che vada persa la motivazione vera secondo la legge di natura.

La creazione che possiamo vedere o udire deve divenire immagine vivente e permeata di spirito, e tale immagine deve trovarsi proprio mel mezzo tra la realtà sensibile e l’idea. Questo mostra ogni vera opera d’arte, in ogni perfezione, e nondimeno una situazione il cui punto di partenza offre delle variazioni.

Una bambola che sia stata realizzata nei suoi elementi essenziali e che non sia stata rifinita fino a divenire un robot, può, con piccole variazioni e aggiunte, divenire una meravigliosa principessa e in breve tempo trasformarsi in una strega.

Se la bambola è per il bambino l’immagine dell’uomo, allora deve avere in sé, quale vera motivazione che rispetti le leggi di natura, ciò che nell’intima esperienza del bambino produce l’essere umano – ad esempio per il fatto che egli impara ad alzarsi in piedi e a mettersi in posizione eretta: deve avere un sopra, un sotto e gli occhi. Perché?

Le più recenti e approfondite ricerche hanno rivelato che lo sviluppo e il benessere del bambino appena nato, sono legati allo sguardo materno, a ciò che proviene dal nero della pupilla, che in sé materialmente è il nulla, ma che pure è fonte di benessere per il bambino e nel quale egli si perde. Il genio della lingua lo dice chiaramente: il bambino è attirato dallo sguardo della madre, il suo sguardo amorevole lo abbraccia, lo avvolge. Attraverso lo sguardo materno dovrebbe illuminarsi tutto ciò che si manifesta al bambino, ciò che lo riscalda, che lo cura con sentimento d’amore, ogni gesto quotidiano, ogni canto, ogni parola o anche ogni racconto, tutto ciò che si esprime nella lingua materna.

E lo sguardo paterno non dovrebbe invece risvegliare nei bambini e nei ragazzi che crescono la forza dell’io, la sicurezza di vita, la forza di carattere, l’attività fisica?

E’ per questo che il genio della lingua parla della terra patria? La possibilità di vivere immergendosi nello sguardo materno e paterno crea le basi per il graduale procedere verso la personalità.

Affinché il bambino possa praticare, nel gioco con la sua bambola, lo sguardo pieno d’amore, imitandolo, allora la bambola dovrebbe avere gli occhi. Possiamo citare un piccolo episodio: un bambino riceve una bambola, fatta con un panno, con la testa imbottita di lana e legata alla base. La testa ha solo questa palla rotonda e nient’altro. Non ha occhi. Il bambino prende la bambola in mano, la guarda a lungo e dice: “Ah! Tu non sei qua!” e la mette da parte.

Nella confezione della bambola semplice, costituita solo dalla testa, senza gambe, né braccia e anche per quanto riguarda le altre due bambole più caratterizzate dalla forma, è importante fare attenzione al viso, che risulti rotondo e senza pieghettature della stoffa. Gli occhi si devono trovare sulla linea trasversale che passa dal punto centrale del viso e dovrebbero possibilmente costituire, con la bocca un triangolo equilatero. Queste particolarità, se ottenute, sono di beneficio per il bambino. Un bambino che si trova tra le mani una bambola con il viso tutto pieghettato, potrebbe esclamare: “Ha un’espressione così triste!”.

La testa, come spesso accade, non dovrebbero essere legata strettamente all’altezza degli occhi. Ne risulta una testa da orangutango, con la parte del mento animalescamente pronunciata che disturba la bella rotondità del capo.

Questo invece ha un grande importanza per il bambino. Dà origine a un processo incosciente che l’adulto può ottenere coscientemente, nel momento in cui passa dalla conoscenza della forma alla percezione della forma. Perviene cioè alla percezione di sé, alla percezione del proprio io, sperimentando il cerchio nel piano o la sfera nello spazio. In questo senso ogni rotondità conduce e così pure la testa rotonda della bambola, il suo viso tondo, stimolano nel bambino la percezione del proprio io, che si associa alla rappresentazione dell’io, cui è già stato accennato, e questa lo riscalda e lo rafforza.

A tempo stesso, nella germogliante anima infantile si rinsalda, di fronte a tutto ciò che è rotondo, il meravigliarsi. Dice Rudolf Steiner: “Di fronte ad ogni cosa rotonda l’anima si meraviglia, si stupisce, poiché la rotondità in sé è collegata con tutto ciò che richiama lo stupirsi, il meravigliarsi”. Meravigliarsi è quindi un’ulteriore base per uno sviluppo animico sano!

La più bella rappresentazione del gioco infantile la troviamo nell’imitazione che il bambino fa dei gesti dell’adulto, delle sue attività responsabilmente animate da una morale responsabilità, nel modo di rapportarsi. Tali gesti agiscono sul bambino di per sé, indipendentemente dai risultati pratici che vogliono raggiungere. Nell’imitare tali movimenti che l’adulto compie in rapporto alla sua attività, il bambino assorbe la moralità o l’immoralità che si esprime in essi e questa si impregna nei suoi giochi. Dopo il ventesimo anno tale attività riapparirà, metamorfosata, quale particolare carattere di un giudizio autonomo.

Nell’ambiente che circonda il bambino, ogni adulto che vi è attivo deve prendere coscienza, con piena responsabilità, che esempio ed imitazione sono le parole magiche del primo settennio e che è perciò possibile influenzare nel senso buono o cattivo tutto il futuro cammino di vita del bambino. Il bambino dovrebbe quindi avere la possibilità, nella sfera di attività dell’adulto, di sperimentare con la sua persona, con altri bambini e adulti, con il prossimo, con le piante, gli animali, la terra, il cielo, tutte le virtù umane. In questa realtà, nel bel mezzo di essa, si trova la bambola e al tempo stesso si trova al centro del campo pedagogico.

Ad esempio, non esistono forse periodi nella vita del bambino, di durata più o meno lunga, in cui, a dispetto di qualsiasi ragionamento, risulta impossibile influenzare la sua volontà? In questo caso è nondimeno efficace un amorevole e serio discorso tra la madre e la bambola, che naturalmente comprende subito ciò che la madre desidera e che deve accadere. Ci sarebbero da raccontare lunghe storie dalle quali risulta evidente come l’insieme dei rapporti ideali tra gli uomini e l’ambiente, rapporti sinceri, veri, pieni di amore e comprensione che si instaureranno più tardi nella vita, possono essere già predisposti in questi anni, così che il subentrare delle note crisi giovanili o dell’età più matura non si manifestano o quasi.

Abbiamo già accennato al liberarsi, per gradi successivi, delle forze plasmatrici. Da questo possiamo trarre ulteriori appunti in relazione con la bambola. Queste tre tappe comprendono approssimativamente i primi tre settenni, fino al ventunesimo anno di età. Fino ai due anni e mezzo il bambino è quasi totalmente un essere di senso e al tempo stesso di volontà, sì che, attraverso la porta dei sensi completamente spalancata, lascia penetrare in lui tutte le impressioni del mondo circostante, senza opporre resistenza. Al tempo stesso la forte volontà si manifesta dapprima in modo caotico e poi a misura della capacità di imitazione sempre più guidata. Questo caratterizza il bambino all’incirca fino al cambiamento dei denti.
Anche per questo primo periodo, fino ai due anni e mezzo, il bambino ha bisogno di una bambola. Ma quale bambola? Non è forse anche lui, come una farfalla, avvolto nel bozzolo che attende di volar via?[1] Non dovrebbe forse possedere una piccola e solida bambola di legno, di bella forma, che può stare bene nella sua manina? Può prenderla con entrambe le mani e morderla e risulta così un aiuto per la crescita dei primi denti, come lo erano le radici di violetta della nostra nonna e bisnonna che ancora oggi si trovano in commercio.

Più tardi, quando il bambino non mette più tutto in bocca, è il momento della bambola in stoffa annodata. Si aggiunga ad essa, sempre in questa seconda fase del primo settennio, una terza bambola, circa intorno al quarto anno. Questa fase di mezzo, di cui Rudolf Steiner parla quasi esclusivamente in rapporto con la bambola, è un’anticipazione approssimativa dell’intero secondo settennio, fino alla maturità sessuale, fino al quattordicesimo anno di età, nella quale il bambino è un essere principalmente assetato di bellezza.

Per questa seconda e terza bambola, quindi, bisogna curare anche il senso estetico, che non deve più abbandonare il bambino in nessun altra fascia di età. Entrambe le bambole possono essere confezionate con maglia color rosa, tipo i fiori del melo, o altra stoffa, e saranno dotate di occhi ricamanti a forma di stella. Questa terza bambola possiede anche un busto e degli arti imbottiti di lana non filata. Inoltre ha anche una bocca molto piccola, ricamata a piccoli punti rossi, e una chioma di capelli giallo oro, in seta o in lana. I capelli devono poter essere pettinati e acconciati nei modi più diversi. Guance, fronte e mento, leggermente arrossate, mettono in evidenza la rotondità plastica del capo.

La bambola può essere corredata da un piccolo cesto ripieno di tagli di stoffa morbida – di materiale non sintetico, nelle misure di 50×50 cm. circa e nei colori dell’arcobaleno – fasce e altri oggetti necessari. Con questi la bambola può essere vestita e travestita, rispettando la meravigliosa fantasia del bambino, sempre in movimento, ricca di intuizioni, rapida e improvvisa come un raggio di sole. Si può vestire la bambola con abiti caldi in inverno e leggeri d’estate, più o meno belli; si può fare di lei un re, oppure una Gretel . Le si può offrire ogni calore del cuore, ogni cura e anche momenti di ira. Giocando con la bambola, tutte le proprietà buone e umane vengono curate ed esercitate, predisposte per il futuro. Tutte le inclinazioni cattive vengono ingentilite e forse trasformate in buone. La formazione del carattere avviene sotto lo sguardo dei genitori e avvolta dal calore del loro cuore, mentre il bambino gioca con la bambola. Questa bambola accompagna il bambino dalla seconda alla terza fase del primo settennio, sebbene anche all’interno di questa fase le aumentate capacità di gioco del bambino richiedo una quarta bambola, che spesso lo segue oltre il primo settennio, fino al dodicesimo e persino al quattordicesimo anno di età, ed è particolarmente amata come sua accompagnatrice.

La terza fase del primo settennio porta di nuovo in sé, approssimativamente l’intero terzo settennio, che va dalla pubertà alla nascita dell’io, intorno ai ventun anni. In questa età il ragazzo forma – oggi bisogna dire, dovrebbe formare – in un’attività sensata, il suo amore per il lavoro. Nel secondo settennio egli sviluppa il suo amore per l’uomo, così come nella prima fase del primo settennio, in completa e dedita imitazione dell’esempio dei genitori e degli educatori, forma il suo amore per Dio.

Questa quarta bambola – con una leggera rientranza degli occhi e della parte della bocca – ha in sé anche un’indicazione delle parti del naso, delle guance e del mento. Ha una piccola gola e la fine delle gambe sono così fatte che prende forma un piede su cui si può calzare una scarpina di panno. Per questa bambola si può cucire, ricamare, lavorare ai ferri e si sperimenta così come il bambino di sei, sette anni, può dedicarsi da sé alle cose più semplici, mentre la mamma cuce per sé stessa e per i fratellini, senza che il bambino stesso abbia bisogno di alcun consiglio. Questo accade se durante gli anni precedenti il bambino ha avuto occasioni di osservare gli adulti che con calma e serietà hanno svolto le loro attività, che sono poi state imitate nel gioco. Bambini che presto sviluppano tali abilità, non soffriranno mai di una noia mortale.

Anche questa quarta bambola può avere lo stesso colore della terza. Gli occhi dei bambini piccoli sono ancora così freschi e pulsanti di forza vitale che, in modo molto intenso, per ogni colore creano il suo complementare. Così il bambino, sebbene in modo incosciente, vive in un mondo ricco di colori e questo dovrebbe anche accadere: il rosa del viso della bambola fa nascere un verde pallido. La bambola esprime in questo modo una piccola personalità, che quasi mantiene una certa distanza e ciò dà molta tranquillità al bambino. Il biondo dei capelli diviene nel medesimo istante come un’aura blu-violetto. E lo sguardo della bambola – con i suoi occhi blu-cielo, che divengono improvvisamente arancio dorato e che brillano come il sole – non è forse uno sguardo pieno d’amore che rassomiglia a quello di un uomo di buon cuore? In questo modo agiscono insieme un’estetica artistica e una animica.

Ora al comparire della seconda, terza e quarta bambola, la prima non dovrebbe scomparire completamente. Tutti i bambini rimangono con la loro mamma e il loro papà. Tuttavia, almeno una volta all’anno, forse prima di Natale, dovrebbero scomparire molto misteriosamente e la notte della vigilia, pulite e belle come il primo giorno, ricomparire e sedere sotto l’albero di Natale: sono andate incontro al Bambino Gesù – o alla festa del Natale – e il suo splendore che si avvicina le ha trasformate in bellezza!

È molto importante quindi, a dispetto di ogni influsso esteriore, tenere in considerazione con amore questa bambola veramente bella, appunto sulla base delle indicazioni antropologiche, estetiche e pedagogiche. Cosa dobbiamo fare quando un bambino, piangendo, ci spiega che vuole una cosiddetta bella bambola, cioè un piccolo robot, perché la posseggono anche i bambini dei vicini e lui viene deriso per la sua bambola?

Un educatore, veramente convinto dell’importanza vitale che la bambola riveste per il bambino, eviterà che la nascente fantasia infantile – delicata, interiormente vivente e stimolante – venga imprigionata da un simile orrore di plastica. Se egli affida al bambino questa cosiddetta bella bambola, che, “se guardata con occhio artistico risulta uno spettro, allora le forze plasmatrici che dal sistema ritmico agiscono sul cervello, agiranno progressivamente come una frustata. Il cervello viene di fatto frustato e bastonato in modo terribile”.[2] Un educatore, che si sente profondamente responsabile di fronte al bambino, prenderà con sé questa povera bambola-bimbo che, improvvisamente vuole essere abbandonata dal suo papà o dalla sua mamma e, al posto del bambino, si prenderà amorevolmente cura di lei e giocherà in modo tale che risultino evidenti le molteplici possibilità e la bellezza che possiede – che il piccolo robot non ha e non può avere. Ciò fintanto che il vecchio amore fra padre o madre e il bimbo rinasca e il bimbo venga sostenuto nell’uno o nell’altro aspetto di amore genitoriale.

Con questo ho voluto soltanto indicare come il bambino abbia una meravigliosa forza plastica che agisce interiormente. Come il bambino di continuo lavori su sé stesso come uno scultore. Dandogli la bambola fatta da un fazzoletto, le forze formative plastiche, che dall’intero organismo salgono al cervello, e che in realtà lo elaborano, dal sistema ritmico, dal respiro e dalla circolazione del sangue salgono dolcemente al cervello. Esse plasmano il cervello infantile, come lavora uno scultore che con mano agile e abile, compenetrata di spirito e di anima, elabora il materiale della sua scultura; tutto si svolge in plasmabilità e in sviluppo organico.[3]

Rudolf Steiner

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[1] In tedesco bambola si dice Puppe e Verpuppen che significa “trasformarsi in crisalide”. Esiste quindi una relazione tra queste due parole e la realtà che stanno ad indicare.

[2] Rudol Steiner, Vita spirituale del presente ed educazione.

[3] Rudolf Steiner, Vita spirituale del presente ed educazione.