Come orientarsi nella scelta dello sport

Daniela Dirceo

Abbiamo chiesto ad un esperto, il maestro Massimiliano Capitanio, di fornirci alcuni consigli che ci guidino nell’attività più adatta alle diverse età dei bambini

“Qualsiasi attività sportiva venga fatta praticare a bambini in età scolare fino ai dieci anni, deve avere come scopo l’acquisizione di abilità motorie non fini a se stesse, ma in grado di permettergli un miglioramento anche in altri contesti, non necessariamente legati allo sport. Così, ad esempio, la capacità di muoversi nello spazio o il controllo fine degli arti, aiutano il bambino ad orientarsi nella pagina e nella scrittura e il coordinamento temporale aiuta nell’acquisizione del ritmo”.

Massimiliano Capitanio, da vent’anni insegnante di educazione fisica e motoria presso la Scuola Steiner, parte da questo concetto che dovrebbe essere il presupposto nella scelta di un corso sportivo per i propri figli, per fornirci alcuni utili consigli.

E quindi prosegue: “un’attività sportiva finalizzata al solo gesto specifico per una disciplina, in questa fascia di età tralascia una parte importante dello sviluppo motorio del bambino che risulterebbe alla fine sbilanciato e deficitario. Pertanto sarebbe meglio non scegliere, fino ai 10 anni, corsi orientati all’insegnamento dei “fondamentali” dello sport che si pratica; meglio, invece, optare per corsi che prendano spunto dalla disciplina sportiva (minibasket, minivolley, pallanuoto, nuoto e via elencando) per lavorare sullo sviluppo delle attività motorie di base: in queste situazioni lo sport specifico è solo un pretesto che viene finalizzato solo come momento ludico all’interno della lezione. In seguito, verso gli 11-12 anni sarà quindi possibile far seguire ai ragazzi corsi specializzanti nelle diverse discipline sportive”.

Altro elemento da tenere presente è il vissuto del bambino rispetto allo sport: è importantissimo che l’esperienza sia felice e positiva e questo si ottiene limitando al massimo la competitività. “Il sano confronto” prosegue Capitanio “non è negativo di per sè, ma è necessario arrivarci preparati per affrontarlo. Lo sviluppo motorio avviene con modalità e tempi molto diversi da bambino a bambino: chi è più impacciato non è detto che lo rimarrà per sempre, basta che gli sia data l’opportunità di superare in un contesto sereno le esperienze difficili”. In questo senso sarebbe meglio far praticare gli sport con i compagni di classe, in una situazione già conosciuta in cui esiste un tessuto di relazioni consolidate. Questa dinamica rende più agevole superare gli ostacoli a chi è in difficoltà e mitiga l’esuberanza di chi è più disinvolto.

“Infine vorrei sottolineare un aspetto un po’ più profondo” afferma Capitanio “e cioè la necessità di comunicare ai giovani allievi non solo l’efficacia del gesto atletico (hai fatto goal, hai fatto canestro…) ma anche la bellezza del gesto (non hai fatto goal, ma hai fatto un gran bel tiro), quindi dare a loro la capacità di valutare l’armonicità dell’esecuzione. I bambini a questa età hanno un sistema di imprinting molto marcato. Se da subito gli si fornisce anche questa immagine, probabilmente li accompagnerà nella loro esperienza sportiva”.

In questo senso andrebbero evitate le discipline dove il gesto è troppo duro e violento, come ad esempio, il calcio o il karate. Via libera invece ad altri sport come il nuoto, ideale dal punto di vista motorio, in quanto sviluppa il fisico in maniera globale in assenza di gravità e quindi senza traumi; la scherma, in quanto insegna il rispetto dell’avversario: il duello si basa sul rispetto della distanza tra i due atleti e i colpi che si possono portare dipendono proprio da questa distanza; minivolley e minibasket, che sono molto stimolanti per lo sviluppo della coordinazione, in più hanno il grande vantaggio di essere sport squadra, quindi adatti per superare i propri limiti nella socialità, senza traumi e senza troppo confronto.

Fin qui il professionista. Un consiglio in veste di papà? “Nuoto obbligatorio, più una disciplina di squadra”.